“Io al servizio del Principe di Galles re di Villa Lante”

di Luciano Costantini

Angelo Zefferino Pasquini con il principe Carlo

Sul tavolo un plico in cellophane. Contiene una mezza dozzina di buste che conservano foto, ritagli di giornali, semplici bigliettini. Sono pezzetti di vita che Angelo Zefferino Pasquini conserva gelosamente. Tessere di ricordi tratti da un mosaico di quasi trenta anni fa quando il principe di Galles, figlio di Elisabetta II°, fu re per tre anni consecutivi di villa Lante di Bagnaia.

Angelo allora era gestore del casino di caccia dove studenti, provenienti da ogni parte del mondo, seguivano corsi d’arte del Cinquecento. “Il secolo più bello di sempre in fatto di architettura”, sottolineava il principe, ora diventato sovrano d’Inghilterra. Angelo, dinanzi alle foto di un tempo, ha ricordi soltanto per il principe-uomo. Non rammenta, probabilmente non vuole, episodi pur numerosi legati ai protocolli del cerimoniale. Resettata l’agiografia per far posto ai sentimenti, alle piccole-grandi quotidianità di un uomo, prima ancora che principe e re.

Non storia, ma dettagli personali scanditi sull’arco di tre giorni all’anno per quattro anni: dal ’91 al ’94. “In effetti il primo anno – precisa Angelo – venne in visita quasi privata per un sopralluogo alla villa: lui, la guardia del corpo mister Parker, un valletto e il direttore del corso. Una visita tanto privata che si era portato dietro dei sandwich probabilmente da Londra…baa…”. Quasi una boccaccia per spiegare che non erano esattamente da leccarsi i baffi. “Li mangiammo noi dopo…”. Dopo quando? “Be’ più tardi. Perché organizzammo una sorpresa. Al ritorno da una rapida visita alla villa, gli facemmo trovare una tavola imbandita fino all’inverosimile, quella stessa tavola che poco prima aveva visto vuota e dove secoli prima abitualmente pranzava il cardinale Gambara. Fu inizialmente sbalordito poi contentissimo. Mandò a chiamare me e mia moglie, Cleofe, per congratularsi. Tutto buono, anzi ottimo. Meno buono forse per certe autorità incaricate della sicurezza”. Nulla di strano, le preoccupazioni sono sempre legittime quando si tratta di dover tutelare un personaggio pubblico di primo piano. “Il fatto è che nella circostanza i timori erano legati quasi esclusivamente alla tavola. Come mai? Scoprimmo che al principe piacevano moltissimo i funghi. E se nel piatto ve ne fosse finito qualcuno velenoso? Per farla breve, la cucina del casino fu immediatamente e puntigliosamente controllata”. La cena proseguì senza altri intoppi e naturalmente a Carlo fu possibile soddisfare la gran voglia di funghi, almeno c’è da immaginarlo. “Certo lì mangiò in tutte le salse. Ma non solo, apprezzò anche molto le fave che non conosceva. Gli feci addirittura assaggiare il maraschino che facevo in casa. Uno strappo per lui che beveva quasi esclusivamente acqua tonica con gin”. Insomma, un banchetto da cardinale con a capo tavola il futuro re d’Inghilterra. Il porporato del Cinquecento avrebbe apprezzato e ne avrebbe fatto motivo di orgoglio imperituro per il casato dei Gambara. Tutta gloria per il futuro. Quella sera fu dolce e gratificante pure per gli uomini della guardia del corpo, inglesi e italiani uniti nel festeggiare con tutto quel ben di dio che sul desco dell’indimenticato e indimenticabile cardinale era rimasto. Tutte prelibatezze della Tuscia, preparate dalla signora Cleofe e dal suo staff. “Alla fine della cena – ricorda Angelo, un sorriso appena accennato come quando tornano alla mente dolci ricordi – mi chiesi: e adesso? Con tutta questa roba come si fa? Fermo, ci pensiamo noi. E come se ci pensarono, quelle guardie, fino a poco prima appostate sopra i tetti, dietro i muri e le siepi. Calarono giù e tra forchette, coltelli, mitra e pistole, ripulirono il tavolo in pochi minuti”. Poi tutti a letto. “Il principe se ne tornò nella limonaia. Era lui che aveva scelto quella palazzina che si affaccia sulla strada romana che si inerpica fuori dalla villa. Al mattino, alle 6,30, ero io che gli portavo la colazione, solo latte fresco e biscotti, magari con qualche tozzetto di casa nostra. Lo incontravo mentre passeggiava, credo che quelli fossero per lui i momenti più intimi che trascorreva con sé stesso…”. Sospira, Angelo: “Non deve essere una bella vita….Mi salutava…una persona simpatica che non ti metteva mai a disagio”. E durante il giorno cosa faceva? “Trascorreva molto tempo con i ragazzi del corso. La sera, lo posso immaginare, era abbastanza stanco. Allora mi faceva preparare una borsa di ghiaccio che passavo al valletto e che lui si teneva sulle gambe per cercare sollievo. Una sera…”. Angelo esita un istante, vorrebbe sospendere il racconto. Poi: “Vabbe’, ormai è trascorso tanto tempo. Una sera era prevista una cena nel casino. Il principe dalla limonaia doveva raggiungerlo attraverso un percorso al buio. Io con largo anticipo avevo chiesto al Comune di Viterbo di farmi avere delle ciotole a olio, delle fiaccole insomma, per illuminare il giardino. Mi telefonò un assessore e mi disse. “ha detto il sindaco che non ci sono soldi”. Morale della favola, le ciotole dovetti acquistarle e mie spese. Così come la carta igienica a fiorellini”. In altre parole, contributi niente? “Non esattamente. Il Comune per l’ultima visita di Carlo spese la bellezza di 98 mila lire. Per il tè, ad esempio, ho dovuto ricorrere a delle tazze prestate da mia sorella”. Il tè delle cinque, ovviamente. Un’abitudine, un rito, quasi sacro per l’Inghilterra. Tazze che, visto la penuria delle casse comunali, saranno servite. “Indispensabili. Eleganti, le ricordo con il filino dorato inciso sugli orli. E poi le posate. Alle cinque del pomeriggio servivo, appunto, il tè di marca rigorosamente inglese ma preparato con acqua del Pisciarello doverosamente bagnaiola”. Già Bagnaia. Contenta del principe? “Orgogliosa direi. Quando arrivò la seconda volta, la prima del corso di studi, organizzammo con la Pro Loco una sfilata del Cinquecento, grazie al corteo storico. Dame e nobili a passeggio nel giardino di villa Lante. Quando lui, affacciandosi alla finestra della limonaia se ne accorse, rimase stupefatto. Prese carta e penna e realizzò sul momento un disegno”. Che fine ha fatto? “Ah non so. Magari lo avessi. Io dal principe ho avuto soltanto un dono. Un giorno mi chiamò e chiamò anche mister Parker: consegni questo al signor Angelo”. E cos’era? “Un portafogli con lo stemma del principe di Galles che conservo”. E lei ha ricambiato? “L’ho fatto adesso inviando a Carlo III° sovrano d’Inghilterra un messaggio di lunga vita e felice regno. Sperando in un ritorno. Non si sa mai”.

 

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