Il Buco su Netflix, una fotografia cruda e distopica della moderna società umana

di Nicole Chiassarini

Il Buco (The Platform) è il primo lungometraggio del giovane regista spagnolo Galder Gaztelu-Urrutia, presentato l’anno scorso al Torino Film Festival e disponibile attualmente sulla piattaforma streaming di Netflix. Un thriller forte che racconta in modo distopico la cruda fotografia della società contemporanea.

L’intero film si sviluppa all’interno di una misteriosa prigione le cui celle sono disposte in verticale. Due persone in ogni cella, ciascuna con un unico diritto: poter portare con sé un solo oggetto. Alla fine di ogni mese i detenuti vengono spostati in una cella diversa, su un piano casuale. Nel centro di ogni stanza un buco, all’interno del quale, ogni giorno passa una piattaforma imbandita di cibo, la stessa che dovrà sfamare tutti i piani della prigione. Inizialmente sembra un sistema equo, ma ben presto lo stesso protagonista si renderà conto che questa soluzione è un pericolo per chi sta nei piani inferiori, poiché arriverebbero solo misere briciole a causa dell’ingordigia dei primi piani.

Fino alla fine la domanda sarà una sola: è possibile rovesciare questo sistema prima che sia troppo tardi?

Un impianto scenografico tanto affascinante quanto lugubre caratterizza Il Buco. Un film che al giorno d’oggi avrebbe trovato difficile la vendita all’interno delle sale, ma che dentro la piattaforma Netflix trova il suo pubblico. Un nuovo prodotto meritevole di visione, un piccolo incubo nel quale è la matrice distopica ad avere la meglio, creando un senso di claustrofobia e solitudine che aumentano sullo schermo casalingo. Un piccolo mondo distinto che attraverso attente scelte di angolazione e una fotografia grigia e opprimente, allude ad un mondo molto più vasto, quasi infinito, dal sapore terrificante.

Interessante anche la scelta di Netflix di riproporlo esattamente in questo periodo di quarantena, come a dimostrare la contemporaneità assurda di questo film: il dover stare chiusi in casa per un tempo quasi indeterminato e quel folle desiderio di accaparramento che ha contraddistinto la nostra società all’interno dei supermercati. Ma non solo, perché ovviamente il senso del film risulta da subito essere molto più ampio di così. Infatti l’allegoria è chiara, chi è più in alto consuma troppo senza pensare di poter razionare per una migliore ed equa distribuzione.

Diversamente dal nostro mondo, i prigionieri ogni mese vengono cambiati di piano. Ci si può svegliare ai primi piani e mangiare come dei re; o agli ultimi e finire con il fare la fame, suicidandosi o praticando cannibalismo. Quindi l’analisi delle disuguaglianze sociali e la caricatura dell’avidità umana in equilibrio nel corso dell’intero lungometraggio e nelle ottime interpretazioni degli attori principali. Un vero e proprio attacco al capitalismo, quello di Urrutia, fatto attraverso una visione cruda e violenta in un contesto inquietante e claustrofobico.

In tal senso il ruolo del cibo assume il significato di un oggetto sacro e al tempo stesso profano, simbolo di sopravvivenza e abbondanza, ambita e disgustosa. Ma anche di speranza, come si evince nel corso del film, nel quale l’empatia per il prigioniero non può che aumentare a causa dell’insostenibile aumentare della crudeltà in questo universo immaginato da Urrutia.

Il Buco di Galder Gaztelu-Urrutia è un misterioso e coinvolgente esordio del giovane regista spagnolo. Un film dove non esiste una vera e propria fine, che trasforma la prigione in una satira per lo più grottesca. Un buon acquisto per Netflix che ha arricchito il proprio catalogo con un film di genere che merita di essere visto.

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