Don Emanuele Germani, parroco ma soprattutto voce del vescovo

di Arnaldo Sassi

Don Emanuele Germani-cover

Aspetto giovanile (del resto ha solo 45 anni); carattere docile ma allo stesso tempo determinato; sicuro nel suo carattere, ma soprattutto nei valori in cui crede. E, alla fine, una gran voglia di fare le cose, tanto che incastrarlo una mezz’oretta è stata una vera e propria impresa.

Lui è don Emanuele Germani, parroco del quartiere di Villanova, ma anche responsabile della comunicazione della Curia vescovile, in qualità di portavoce di monsignor Orazio Francesco Piazza, vescovo di Viterbo. Insomma, una specie di tuttofare con la tonaca. Uno che, per usare un adagio popolare assai noto, quando non ci arriva (raramente), ci butta il cappello.

La sua storia rispecchia fedelmente quella dei giovani della sua generazione, specialmente di quelli nati e cresciuti in un paesino di poche migliaia di abitanti. “Sì, sono nato a Latera – racconta – e li ho vissuto la mia infanzia e parte della mia adolescenza. L’ho lasciata quando avevo 16 anni”.

Che ricordi ha di quel periodo?

“Belli. Anzi, bellissimi. Quando ero ragazzo non c’erano i telefoni cellulari, non c’erano i computer, non c’era niente. Però c’erano la chiesa e l’oratorio. E allora, con gli amici, ci si incontrava lì per giocare. Tanto che la mia vocazione è nata quasi per gioco”.

Che vuol dire? Si spieghi meglio…

“Beh, avevamo la chiave della chiesa e allora andavamo lì e giocavamo a dire la messa o a fare le processioni. Ci divertivamo un mondo. Ma facevamo anche altro. A me, per esempio, piaceva organizzare feste. Così fondai un’associazione culturale intitolata al cardinal Girolamo Farnese (nativo di Latera nel 1599). Mi ricordo che una volta mi inventai una festa medievale, riuscendo a coinvolgere tutto il paese. Insomma, ero molto attento anche al sociale”.

E poi che è successo?

“In effetti, sempre in quel periodo, ho avuto a fianco un sacerdote che mi ha ispirato molto e mi ha aperto la mente. Si chiamava don Franco Cionco. Era originario di Montalto di Castro, ma all’epoca era parroco di Latera. Il suo modo di fare e quello di parlare mi invogliarono molto. Anzi, invogliarono me e un mio coetaneo, che abitava nel mio stesso palazzo. Poi siamo diventati entrambi sacerdoti”.

Non credo che questo basti…

“No. Perché poi il Signore ti manda dei segnali e sei tu che devi discernere. E così io decisi di entrare in seminario, che all’epoca stava in piazza San Lorenzo. Ma questo, in quel momento, non significava che sarei poi diventato prete”.

Quanto durò questo percorso?

“Sette anni. Nei quali ho studiato soprattutto filosofia e teologia. A conclusione, l’anno pastorale. E nel 2005 fui ordinato sacerdote”.

Poi, subito in trincea…

”Fui destinato subito alla parrocchia di Santa Barbara, come vice parroco, dove sono rimasto per quattro anni. Poi nel 2009 sono arrivato qui a Villanova, sempre come vice parroco, poi come co-parroco. E dal 2019 sono parroco”.

Che impatto ha avuto?

“All’inizio non facile. Perché chi arriva da un paesino ha difficoltà ad immergersi in una realtà cittadina, che è completamente diversa. Mi hanno molto aiutato gli studi del seminario. Poi, dopo le difficoltà iniziali, mi sono immerso in questa nuova cultura”.

Allora parliamo del suo rapporto con i parrocchiani…

“Bello. Perché basato sulla fiducia. Una cosa molto importante. Perché in un contesto socio-culturale profondamente cambiato rispetto al passato, persiste il rispetto per il prete, che è ancora considerato un punto di riferimento. Ma è anche una grande responsabilità. La fiducia non va mai tradita. E poi il parroco deve essere anche un animatore. Io questo dovere l’ho sentito forte e ho visto che, se prendi iniziative, la gente ti segue. Fortunatamente io sono molto attivo e ho sempre avuto risposte positive”.

E il rapporto con i giovani?

“Anche quello bellissimo, ma difficile. Purtroppo in un mondo dove c’è la crisi della famiglia, della società, dei valori, l’impegno va raddoppiato. Non è più come una volta. Oggi ci sono altre cose che attraggono più della parrocchia. Ma se tu ti arrendi, i giovani si allontanano. Io mi sono inventato sempre cose nuove. L’ultima: ho messo in piedi una casa per giovani, favorendo così un’esperienza di fraternità e di vita comune. Oggi ci sono 30 ragazzi fissi, che frequentano le scuole superiori. In ogni week end fanno vita comune, andando a fare la spesa, preparando il pranzo e dormendo nella stessa casa. Questo crea anche un po’ di disciplina”

Tra l’altro c’è anche un bell’impianto sportivo…

“Fu fatto con grandi sacrifici dall’indimenticabile don Armando Marini, fondatore della parrocchia. Oggi lo frequentano circa 1.000 persone a settimana. Poi, grazie ai fondi dell’otto per mille, si è realizzata una completa riqualificazione del complesso. Villanova era l’unico quartiere viterbese a non avere una chiesa. C’era un prefabbricato con strutture molto fatiscenti”.

Lei è anche il portavoce del vescovo…

“E’ una delle mie esperienze più belle. Nacque nel 2009, in occasione della visita di papa Benedetto XVI a Viterbo. L’allora vescovo Lorenzo Chiarinelli mi chiese se fossi disposto a organizzare la visita dal punto di vista comunicativo. Accettai con entusiasmo. Poi arrivarono i complimenti del Vaticano. E allora Chiarinelli decise di istituire un vero e proprio ufficio, di cui sono il direttore”.

Un compito impegnativo…

“Più che altro delicato. Perché si deve porre attenzione a tutte le notizie e capire quando è necessario intervenire. Però il rapporto con la stampa mi piace molto. Lo faccio volentieri e con passione, anche se porta via molto tempo”.

Adesso parliamo del vescovo, arrivato da pochi mesi a Viterbo

“Una persona comunicativa al massimo. Brillante, intelligente, ma soprattutto preparata. Un teologo che nelle omelie o negli incontri ha sempre una parola di novità, edificante per chi ascolta. Per i fedeli, ma anche per noi preti. Perché lui deve essere anche la nostra guida”.

Che tipo di legame c’è tra la Diocesi e il Sodalizio dei facchini di Santa Rosa?

“Il legame con Santa Rosa è scontato. Ma da parte della Diocesi c’è il desiderio di far conoscere ancora di più questo culto. Negli ultimi anni sono state messe in piedi molte iniziative di sensibilizzazione. Per esempio la novena con tutte le parrocchie della città, che prima non si faceva. Anche il rapporto coi facchini è ottimo, pur nel rispetto dei ruoli. C’è una buona collaborazione di intenti. Anzi, il vescovo ha voluto incentivare questo rapporto organizzando incontri periodici con loro. Ne ha già fatti 4 o 5. Lo scopo è quello di eliminare la spaccatura tra fede e vita. Insomma, ci deve essere armonia tra fede professata e fede vissuta. I facchini sono i responsabili di una grande festa. E, da cristiani, devono dare il meglio non solo durante il trasporto, ma anche negli altri giorni”.

Per chiudere, cosa augura ai viterbesi per la Pasqua?

“Quello di vivere la santa Pasqua in serenità, all’insegna della fratellanza e dell’amore per gli altri”.

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