La sera del tre settembre, a Viterbo, quando i Facchini di Santa Rosa stanno per dare inizio al Trasporto della Macchina, il tempo conosce un’irreale eppure tangibile sospensione. In attesa del comando “Sollevate e fermi!”, gli attimi si dilatano in respiri trattenuti, e la città intera sente nei muscoli la tensione che precede l’alzata. E quando finalmente i Facchini sollevano la Macchina – questo “campanile illuminato che cammina” difficile da descrivere a parole – è Viterbo stessa che si slancia verso l’alto, tra la luce delle fiaccole e il buio degli antichi vicoli, nella bellezza di un patto che si rinnova tra la sua piccola Santa e i suoi abitanti. Un’alchimia straordinaria, eppure basata su tre semplici ingredienti rimasti immutati da secoli: fede, forza e volontà. Semplicità e tanta concretezza sono anche le parole d’ordine che caratterizzano Luigi Aspromonte, dall’anno scorso capofacchino, ovvero colui che dà i comandi e dirige il Trasporto della Macchina di Santa Rosa, evento clou della festività patronale del capoluogo della Tuscia.
Il Trasporto è letteralmente un’impresa per il centinaio di Facchini, che portano sulle spalle e sul collo una torre mobile di circa trenta metri, per 52 quintali di peso, lungo un tragitto di oltre un chilometro, il cui ultimo tratto in salita e addirittura a passo di corsa. Esperienza ultradecennale e già figura di spicco nel direttivo del Sodalizio dei Facchini, l’anno scorso Aspromonte è stato chiamato a ricoprire la carica a pochissimi giorni dal Trasporto, per l’improvvisa indisponibilità del precedente capofacchino Sandro Rossi. Un ruolo prestigioso e impegnativo, assunto in emergenza ma anche in assoluta tranquillità.
«La parola che esprime meglio il mio primo Trasporto da capofacchino è incoscienza»,
racconta sorridendo Luigi, classe 1966. «Sono andato proprio tranquillo, forse pure troppo.
Però dopo non riuscivo neppure a dormire, erano le cinque di mattina e vagavo per casa
fumando sigarette: la scarica di adrenalina era arrivata».
La famiglia Aspromonte vanta finora ben quattro generazioni di facchini. «Ha iniziato il
nonno Luigi. Sono stati facchini mio padre Umberto e due suoi fratelli. Poi nel 1990 sono
arrivato io, e ora c’è mio figlio Francesco: ha vent’anni. Ricordo che da bambino vedevo mio padre come un eroe. Per seguire i suoi passi sono stato mini Facchino al Pilastro. Le
Minimacchine sono un po’ l’accademia della Macchina di Santa Rosa, dei vivai da cui poter
attingere. Non tutti purtroppo ce la faranno, però fanno venire la voglia di provare. Alla fine è tutta questione di fede, forza e volontà. Puoi sopperire alla forza con la volontà: è quella che ti fa fare il salto di qualità».
Dall’esperienza di mini facchino, Aspromonte ha poi seguito tutta la trafila: corde, leve, spallette aggiuntive, spalletta fissa. «Poi sono diventato ciuffo, la massima aspirazione per tutti i Facchini. Lo sono stato per vent’anni». Per esperienza e capacità, dal 2007 Luigi Aspromonte fa parte ininterrottamente del Direttivo del Sodalizio. «E quando ho compiuto cinquantuno anni ho deciso di lasciare il Trasporto: la voglia di rimanere ancora c’era, ma è giusto lasciare il posto ai giovani. Ho fatto questa scelta sapendo che avrei intrapreso un altro tipo di ruolo: quello di guida».
Le quattro guide sono determinanti per la buona riuscita del Trasporto. «Il capofacchino si trova al centro, non può accorgersi di determinate criticità, sono le guide a farlo. Ed è il motivo per cui deve avere la massima fiducia in loro: sono loro gli occhi della Macchina. Per questo, l’anno scorso, quando il precedente capofacchino si è sentito male proprio a ridosso del Trasporto, ero già “catapultato” a fare questa cosa. Mi sarei comunque proposto alle nuove elezioni, a scadenza mandato. Con umiltà, perché poi sono sempre i Facchini a scegliere. Tutti i ragazzi hanno capito la difficoltà: uno che non ha mai fatto il capofacchino si trova a essere messo lì a cinque giorni dal Trasporto! Mi hanno aiutato parecchio. Però ho notato la tranquillità in tutti, evidentemente confidavano in me».
Oltre al subentro in extremis, c’era anche un altro elemento che l’anno scorso rendeva
delicato il Trasporto: la Macchina era nuova. «E’ stato il primo anno di “Dies Natalis”. Anche se avevamo fatto le prove non sai mai come reagisce: un conto trasportare il traliccio, non completamente allestito, di giorno… Un conto la sera del tre. Qualche difficoltà l’abbiamo incontrata. E quest’anno sarà nuovamente una “prima volta”, perché sono state apportate delle modifiche proprio per l’esperienza dello scorso anno. La Macchina diventa operativa al cento per cento solo al terzo Trasporto, i primi due sono di “assestamento”».
Delle tante Macchine, che Luigi Aspromonte ha contribuito a trasportare, due occupano un posto particolare nei suoi ricordi. «Armonia Celeste, quando sono entrato per la prima volta. E Sinfonia d’Archi, perché “sono andato a ciuffo”. Ma in realtà il facchino deve e vuole portare la Macchina, a prescindere da com’è. Poi se è bella ancora meglio». E meglio ancora, se ad affollare le vie cittadine, quella sera, c’è un pubblico caloroso e festante. «Vorrei far partecipare di più il pubblico, farlo diventare ancora di più parte integrante del Trasporto. Perché i ragazzi sono il motore, ma la gente che affolla il percorso è la benzina. Il Trasporto lo fanno i Facchini, ma senza i viterbesi, senza il pubblico, il Trasporto non ci sarebbe».
Quelli che Luigi chiama affettuosamente ragazzi, i Facchini, a Viterbo sono una vera e
propria istituzione. «Prefettura, Comune, Carabinieri – ci chiamano a partecipare agli eventi, quasi fossimo un’istituzione anche noi. A rischio di passare per malati di protagonismo, invece non è assolutamente così: il Facchino di per sé è una figura umile, che si mette al servizio degli altri».
Sul requisito della semplicità e dell’umiltà, Aspromonte è molto chiaro, anche e soprattutto
riguardo al ruolo che ricopre. «Tutti sono importanti, a partire dai nuovi entrati alle corde, fino ad arrivare in cima. Nessuno deve sentirsi una primadonna, nemmeno il capofacchino, che deve essere la persona più semplice del Sodalizio, quello che risolve i problemi – perché i problemi all’interno del Sodalizio possono essere tanti: tecnici, personali, familiari, di ogni
genere. Deve ascoltare, consigliare, aiutare nei limiti delle possibilità. Deve essere autorevole se serve, che non significa autoritario. Però la semplicità è la base di tutto».
E con naturalezza e semplicità, Aspromonte non si sente davanti, ma a fianco dei suoi
ragazzi. «Non metterò la fascia blu, metterò quella rossa come tutti gli altri Facchini, perché sono e rimango uno di loro. Io poi ho fatto calcio, ho giocato per tanti anni nella Viterbese. Sono abituato ad avere i piedi per terra. Capisco l’importanza di riuscire a fare squadra, ad avere un gruppo coeso. Puoi essere forte quanto ti pare, ma da solo non fai niente, devi aiutare chi in quel momento è in difficoltà usando la tua forza. Come una squadra di calcio: puoi avere dieci campioni, ma se non fanno squadra, non vinci».



























