Una scultura di luce nel tempo

di Don Gianni Carparelli

articolo don gianni carpinelli

E’ il “dies natalis” di Viterbo e non solo. E’ come una lettura infinita. La macchina detta di “S. Rosa” è sempre un tentativo di leggere in chiave spirituale e poi architettonica un cammino di fede. Ed essendo “cammino” cambia secondo i passi e la storia della comunità dentro la quale nasce mentre si apre al mondo. Mi accosto con questa mia meditazione a questa luce, e con rispetto anche dei tanti tentativi che tali per ora resteranno. A me piace lo stile di pensiero e di lavoro che Ascenzi Raffaele ci offre. Nel suo “tentativo”, premiato di nuovo, vedo un cammino che non è solo legato alla architettura, ma è legato alla storia, anche di fede e che cammina senza dimenticare i “passi” che qui ci hanno condotto. Passi che continuano a camminare. E’ una opera d’arte “scolpita nel tempo”. C’è passato, c’è presente, c’è futuro. La reazione della mia anima è lo “stupore” e prendo questo in prestito dalla lettera apostolica “Desiderio desideravi…” di Francesco (n. 25). E’ la meraviglia di fronte alla bellezza delle promesse che Gesù ci ha rivelato nella sua presenza tra di noi, è la grandezza di Dio incarnata in Lui e nei santi e nei buoni. Noi veniamo misticamente invitati a far parte di questo cammino con il Battesimo. C’è una preghiera all’inizio della celebrazione del sacramento: “… discenda in quest’acqua la potenza dello Spirito Santo perché coloro che in essa riceveranno il Battesimo siano sepolti con Cristo nella morte e con Lui risorgano alla vita immortale”. E’ il “dies natalis” nel suo significato più vero e più profondo. Quando vedo apparire questa torre di arte illuminata penso, e con stupore e meraviglia, al “Dies Natalis soli invicti”, quando l’universo vide nascere l’uomo nuovo, il primo di una nuova generazione. Ci vedo la Chiesa di Gesù, come nuova culla di vita. La Chiesa che stiamo vivendo e costruendo ogni giorno anche se da purificare sempre nelle acque donate dal Signore: “Chi beve l’acqua che io darò non avrà più sete, anzi l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4: 13…). Questa mia lettura si chiama “infinita”, ed è comune nella letteratura ebraica. Man mano che ammiriamo i tanti tentativi di riportare “Rosa” viva tra di noi e nelle nostre strade, di vita e storia, vediamo crescere davanti a noi la sua presenza. E la presenza di Rosa è la nostra presenza. Tra i disegni dell’architettura ci siamo anche tutti noi. I tanti lumi accesi  “portano” il nostro nome.

E la bellezza appare ai nostri occhi che sono in attesa, nei passi cadenzati dei portatori e cresce in noi il desiderio di vederla ancora e ancora, magari in altre forme e contenuti narrati nell’ architettura. Il “dies natalis” di Rosa è il “dies natalis” di ognuno di noi, delle nostre città, della politica, delle istituzioni anche religiose, della scuola, delle professioni, dei servizi di accoglienza e assistenza ai fragili, del rispetto per la natura tutta e i suoi abitanti… dobbiamo morire al passato oscuro e annebbiato dalle fragilità a volte troppo ingombranti, dobbiamo morire alla disonestà e incuria per risorgere come nella purezza di un’acqua sorgiva che scaturisce dalla vita dei buoni e degli onesti. Per non avere più sete, non solo, ma diventare noi stessi “sorgente” di purezza e onestà e carità. Sono questi i cammini della Chiesa che spesso si incontra per discuterli e farli camminare. La Chiesa deve illuminare di stupore la grandezza del creato. La Chiesa non può solo discutere o predicare. Deve anche camminare per le strade e la storia. Ascenzi ci offre ancora una volta uno “splendido splendore” da ammirare, non solo. Da “camminare” anche noi. Noi siamo le spalle per portare una macchina che siamo noi. Non basta ammirare S. Rosa. Dobbiamo accompagnarla mentre nelle strade apre il suo grembiule per regalare le rose della carità e della compassione. “Fate QUESTO in mia memoria…”.

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