Pnrr, la transizione verde avanza ma “la terra non può essere svilita”

di Fabrizio Quaranta*

Riceviamo e pubblichiamo:

La Terra, la superstite terra fertile, non è Res nullius, né, ancora, derelictae; non è illimitata e non va consumata e umiliata con aggettivi che di “ecologico” hanno solo la sfacciataggine.

Milioni di km di sovrastrutture (già “indispensabili”) hanno occupato, tombato e impermeabilizzato in una sola generazione il 28% delle campagne. Un’anarcoide rincorsa al cemento si è accanita sui più fertili ma scarsi terreni di pianura, e ancora lì si pretende spazio per il fotovoltaico (175 000 ettari secondo il PNRR, come la scomparsa di intere province granarie, e di grano ne manca tantissimo e sempre più ne mancherà).

Gravissimo è il tentativo in corso di delegittimazione delle Sovrintendenze, ultimo baluardo a difesa del Patrimonio ambientale e culturale italiano, additate come “responsabili” di colpevoli ritardi alla pretesa rapida autorizzazione di palesi scempi.

Con cinica spudoratezza si cerca di far passare ipocritamente come “parchi” questi invasivi e permanenti oltraggi alla superstite Bellezza ambientale. Sfrontata e surreale è la pretesa di far digerire queste schifezze come nuovo “paesaggio”.

Migliaia di capannoni fatiscenti, scheletri di serre, strade superflue, disordinate e sparse periferie, seconde case, pacchiani villoni abusivi, parcheggi di faraonici centri commerciali e, ora, enormi depositi dei giganti della logistica, sono la desolata immagine del Bel Paese che fu della secolare armonia multifunzionale dei borghi rurali.

“Dopo gli allarmanti dati 2019, con coperture di 57 milioni mq – oltre 2 mq al secondo, le colate di cemento non rallentano nel 2020, nonostante il lockdown, e consumano altri 60 kmq, impermeabilizzando ormai oltre il 7% del territorio” (ISPRA)

Non si consumi allora altro prezioso, miracolosamente superstite, territorio rurale! Si riconvertano quei km di obbrobri fatiscenti dotandone i tetti (i TETTI !!) di pannelli fotovoltaici. Ce n’è per chilometri e sarà anche occasione per un salvifico maquillage urbanistico. “I tetti degli edifici extra-urbani sono circa 3 500 kmq, ISPRA stima che sarebbe possibile installarli su almeno 700 kmq. Si raggiungerebbe una potenza fotovoltaica fra 59 e 77 gigawatt, il doppio di quanto previsto dal PNIEC, che individua un obiettivo di incremento di 30 gigawatt al 2030.

Poi ci sono i parcheggi, migliaia di km di autostrade, varie infrastrutture, aree dismesse, cave esaurite, e, comunque vastissime aree GIÀ “CONSUMATE”.

Le emissioni climalteranti di CO2 non sono poi una costante immodificabile che costringe inevitabilmente ad agire esclusivamente sul “COME” produrre energia: il fabbisogno di questa infatti si può ridurre e di conseguenza la CO2 si può abbattere soprattutto modificando drasticamente molte delle incancrenite pessime abitudini favorite da una troppo facile ed economica disponibilità di pratiche energivore: case e uffici in inverno a 24°C, in estate a 18° – condizionatori, unica causa dei blackout elettrici fino ad oggi, abuso di auto in città anche per spostamenti facilmente ciclopedonali, consumo abitudinario e acritico di cibi fuori stagione, ecc.…

Non è colpa dell’inamovibile destino cinico e baro ma, appunto, di incancrenite pessime abitudini da eccesso facile di comodità energivore se quindi un cittadino del Qatar emetta mediamente 39 tonnellate di CO2 l’anno, uno statunitense e australiano 16, mentre un italiano scende a 5 e ancor meno in Francia, Svezia e Svizzera con 4 t/pro capite (dati da Banca mondiale 2016). Paesi europei dove certo la qualità della vita non è da eremiti nelle grotte (anzi…) e comunque le emissioni potrebbero essere ancora facilmente ridotte, mantenendo standard di benessere, salute, longevità e civiltà elevati, se non addirittura superiori.

La terra non può essere svilita a fabbrica di corrente per capricci, ma DEVE innanzitutto fornire alimenti, anche se il cibo a prezzi stracciati e senza stagionalità ha fatto perdere questa ancestrale e sacra percezione. L’Italia è infatti fortemente deficitaria di quasi ogni materia prima OGNI SPICCHIO DI TERRA ANDREBBE COLTIVATO. (E lo sarebbe se i redditi fossero dignitosi).

La Pace fra le Nazioni, poi, è fenomeno storicamente raro, e i facili scambi commerciali, che oggi mascherano e suppliscono i gravi deficit, potrebbero interrompersi in caso di conflitti. E l’aria che tira fra i grandi blocchi non è la migliore.

“Un problema grave per l’Italia con un pesante deficit produttivo agroalimentare: mancano il 64% di frumento tenero, il 40% del duro (e relative difficoltà a garantire una pasta totalmente italiana, malgrado l’eccesso di retorica disinformata), il 50% di mais (materia prima per molte eccellenze nazionali), il 70% di soia…e anche la carne, il pesce” (Ismea) e quasi tutte le altre materie prime, anche le più impensabili come le noci (-75%) o le nocciole (-30%), malgrado la fiorente industria dolciaria italiana, dispensatrice di agognato lavoro a Nord e Sud.

Dal 2012 il suolo ormai consumato non ha potuto offrire 4 milioni di quintali di prodotti agricoli” (Coldiretti). Solo per il grano duro in Italia si è passati in pochi anni da 1.700.000 ha a 1.200.000 ha (ISTAT): la perdita di mezzo milione di ettari equivalgono ad un’intera Regione, e l’improvvisa impennata dei prezzi tutt’ora in corso evidenzia il precario e pericoloso equilibrio del commercio mondiale.

Ma oltre al cibo, l’agricoltura da millenni svolge la fondamentale funzione di sistemazione e regimazione idraulica dei territori. Sebbene misconosciuta, questa costante opera di tutela ha impedito o almeno attenuato i disastri dovuti alla rottura dell’equilibrio idrogeologico dei suoli. Questa drammatica realtà di dissesto che coinvolge con intensità e luttuosità crescente ormai il 90% dei comuni italiani (ISPRA) è dovuta principalmente all’abbandono dell’agricoltura locale e successive cementificazioni. Un ulteriore carico di strutture artificiali potrebbe aumentare i già alti rischi per quei territori che farebbero volentieri a meno delle ricorrenti geremiadi televisive con i volti affranti di “caduti dal pero” in occasione delle reiterate luttuose calamità.

Le suadenti sirene che sibilano a demotivati coltivatori facili redditi derivanti dal fotovoltaico a terra (“almeno 3000 €/ha !”– impensabili con qualsiasi coltura legale), dovrebbero confrontarsi con gli operatori del turismo per l’irreversibile degrado paesaggistico per chilometri. Aree che proprio con un abbinamento paesaggio incontaminato – itinerari lenti (cammini e ciclovie) ed enogastronomici, grazie ai redditi derivanti da crescenti frequentazioni anche internazionali stavano resistendo all’abbandono con opportunità di lavoro agroturistico ai giovani locali. Sperando che nessuna coppia neocollodiana li possa convincere a “seminar zecchini d’oro”, ferendo a morte la nostra madre terra conficcandole in grembo lugubri paramenti funebri.

“…gli insulti al paesaggio e alla natura, oltre a rappresentare un affronto all’intelligenza, sono un attacco alla nostra identità…” (Mattarella, Capo dello Stato, garante della Costituzione, e specificamente dell’art. 9)

 

*L’Autore: Dottore in Scienze Agrarie, si occupa di cerealicoltura

Il paesaggio collinare di Tuscania, foto cover © A. Gariboldi

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