Intorno alla metà del XV° secolo monna Agnese è già un po’ avanti con gli anni. E’ di origini sicuramente slave: lineamenti del viso di rara bellezza, abbinati a un fisico prosperoso. Agnese ha trascorso gli anni della prima giovinezza tra osterie, sale da gioco, case private, a praticare il mestiere più antico del mondo. Ha saputo far fruttare così bene la sua attività che nel 1452 decide di mettersi in proprio e per 35 ducati acquisisce dal Comune la gabella, cioè l’appalto in esclusiva, del postribolo più importante di Viterbo. La licenza le viene rinnovata due anni dopo per 56 ducati e 45 bolognini. I proventi del sesso costituiscono un’entrata assai rilevante per l’amministrazione municipale. Non si hanno notizie se Agnese sia stata l’unica tenutaria della casa di tolleranza, sicuramente fu la prima. Gestire un bordello garantisce soldi, tanti soldi, però richiede anche grande impegno e rispetto delle regole. Il “cinque stelle” della città si trova in via del Bordelletto (nomen omen), un vicoletto inghiottito nel secolo scorso dalla costruzione di via Ascenzi, che va a confluire in via valle Piatta. Proprio nel cuore del quartiere a luci rosse, che ospita pure una frequentatissima casa da gioco, subito a ridosso di palazzo dei Priori. Amore e gioco. A Viterbo lavorano, e con buoni bilanci, anche altre case, più o meno pubbliche o private, perché la tolleranza è esercitata alla lettera, in tutte le sue forme. Lavorano anche case stagionali, per esempio presso il Bulicame (postribolum meretricum in Piano Balnei), durante la raccolta e la macerazione della canapa. Ne dà testimonianza Dante nel XIV° Canto dell’Inferno della Divina Commedia. Scrive: “….come del Bulicame esce il ruscello che partono poi tra lor le peccatrici…”, alludendo verosimilmente alle sinuose passeggiate di ragazze in attesa di clienti. Nel 1441 il lupanare del Bordelletto è tanto malridotto che il Comune decide di trasferire prostitute, tenutaria e lenoni in via Cardinal La Fontaine, tra l’allora Macello/maggiore e la chiesa di San Vito. Ai due lati della via, altrettante robuste catene per impedire l’ingresso di clienti dopo le tre di notte. Precauzione inutile perché più volte catene e cancelli vengono divelti, i postriboli presi d’assalto. Che trionfi l’amore anche se a pagamento. Via Cardinal La Fontaine, giorno e notte, è una bolgia, tra uomini che rumoreggiano per guadagnare il passi per la casa di tolleranza, residenti che lamentano le risse e il clamore sotto casa, i gendarmi che, accaventiquattro, provano, spesso inutilmente, a mantenere l’ordine. Le proteste costringono l’amministrazione municipale a riaprire il Bordelletto – 1448 – anche perché situato nelle immediate vicinanze di palazzo dei Priori e dunque più facilmente controllabile. Le regole del postribolo sono rigidissime: le ragazze non possono uscire e muoversi in città se non nella giornata di sabato. Non possono indossare gli abiti tradizionali delle gentildonne viterbesi. Un consiglio: meglio che non diano troppo nell’occhio. E un avvertimento: non devono frequentare il Bulicame, riservato alle sole “donne honeste”. Nessuno può ospitare in casa propria una prostituta a meno che non dimostri l’intenzione di sposarla e quindi “redire ad bonam vitam” . Per le casse comunali l’entrata media dei postriboli arriva e supera i 50 ducati. I clienti pagano una tassa d’ingresso tra due a quattro bolognini. Impossibile chiaramente stabilire l’importo in euro. Ma è una innovazione rispetto, per esempio, a quanto avviene a Roma dove sono invece le ragazze a pagare una tassa media di due carlini al mese. La presenza dei Papi continua ad essere un vanto e anche una risorsa economica per Viterbo, ma una iattura per i proprietari dei postriboli, per i lenoni, per le prostitute e naturalmente per i clienti: l’attività deve cessare quando il pontefice e la sua corte dimorano in città. Un po’ di rispetto, per favore. Le case devono essere sigillate, chi vi lavora viene spedito lontano dalle mura. Si riaprirà dopo il ritorno del Papa a Roma. I postriboli continuano a macinare profitti fino al varo della legge Merlin, il 20 febbraio 1958, che sancisce la loro chiusura definitiva. Fino al giorno prima a Viterbo sono ancora aperte due case: in via Cacciamele, una angusta traversa di via Mazzini e una, ancora e sempre, nella mitica via valle Piatta. Ma questa è un’altra storia.