Monica Silvestri: Ludus in Tabula per giocare come nel mondo antico

Sara Grassotti

Per venti anni è vissuta a Viterbo, dove si è laureata in Beni culturali indirizzo archeologico. Nella Tuscia ha esercitato come guida turistica, conosce il territorio al centimetro, ne apprezza la sua bellezza infinita ma ne ha sofferto pure la sua chiusura. Un’esperienza lunga quella di Monica Silvestri, non inutile, dal 1993 al 2016, che ha creato quel connubio fra archeologia e artigianato che unito alla passione per il gioco da tavolo l’ha direzionata in Umbria, dove a Foligno, cittadina vivace della regione più verde d’Italia, ha messo in piedi il progetto “HISTORY GAMES”. A quarant’anni è stato come reinventarsi, iniziando da un cambio di luogo e da una nuova professione: l’“archeoludologa”.

 

Ci spieghi cos’è esattamente una archeoludologa?

In realtà il termine archeoludologa è stato da me inventato per spiegare meglio il mio lavoro di archeologa che però si occupa di giochi, in particolar modo di un settore di nicchia come il gioco da tavolo del Mediterraneo antico, per gli addetti ai lavori di tabulae lusoriae, cioè le tracce lasciate dai nostri lontani antenati come testimonianze di tavolieri per il gioco.

 

Il  progetto Ludus in Tabula è una sua ideazione o l’espressione di un gruppo?

Il progetto è una mia ideazione, anche se nel tempo ho avuto a fianco tante persone che hanno creduto nel progetto, spingendomi a continuare non senza difficoltà. Per fortuna la mia tenacia ha avuto il sopravvento e ora, dopo quasi vent’anni, sto raccogliendo i primi frutti concreti. Proprio in questi mesi è nata la Historygames, insieme all’artigiano Gualtiero Tumolo, e tutto ha preso un aspetto molto più professionale, catapultandoci in una realtà ad ampio respiro.

 

Da dove siete partiti?

Tutto è partito ai tempi dell’università, quando collaboravo nella didattica archeologica presso il Centro Italiano di archeologia sperimentale, dove mi sono imbattuta nei primi giochi da tavolo romani, utilizzati come intrattenimento serale nei campi scuola. Da lì ho iniziato a ricostruirli e pian piano a studiarne meglio i regolamenti, andando a cercare i giochi più antichi e quelli che sono arrivati fino all’epoca moderna.

 

Chi sono gli appassionati  e i fruitori di questo tipo di gioco? Ci descriva quello che riscontra maggiore consenso e quanti sono i giochi creati.

Finora ho ricostruito ventidue giochi archeologicamente attestati: dai giochi sumeri a quelli egizi, dai giochi greci, etruschi e romani a quelli medievali, oltre a vari tipi di dadi, pedine e lanciadadi. Tutti i giochi riscontrano consensi, soprattutto perché viene apprezzata la riscoperta di giochi sconosciuti ai più o non più praticati, ma che fanno parte del nostro bagaglio culturale. I più interessati sono le persone che amano la cultura e hanno passione per il nostro passato. I bambini e i ragazzi apprezzano di più l’aspetto ludico.

 

Ma qual è lo scopo preciso?

Lo scopo di Historygames è quello di far conoscere i tanti giochi da tavolo dell’area del Mediterraneo antico che si perdono nelle maglie del tempo. E’ un modo diverso per viaggiare nel passato e per poter continuare a diffondere la conoscenza di questi giochi che fanno parte della nostra tradizione e che non devono essere dimenticati. L’uomo ha sempre giocato e questo è testimoniato dal mio lavoro di archeologa, infatti, ovunque io abbia scavato, mi è capitato di rinvenire dadi, pedine o giochi incisi.

 

Il gioco può fare da collante sociale?

Il gioco è stato e sarà sempre un forte collante sociale e, se analizzato con approccio scientifico, può contribuire a far luce su tanti aspetti della vita quotidiana, al pari di altri settori di ricerca. Ci piacerebbe che si tornasse a giocare anche con i giochi antichi perché possono sviluppare numerosi aspetti positivi, quali la riflessione e la logica, ma soprattutto la socializzazione. Sono giochi che richiedono tempo, ma se questo viene concesso, il loro aspetto positivo è garantito.

Crede che nella Tuscia non sarebbe stato possibile realizzare il suo progetto?

Il progetto è nato in Tuscia e lì si è sviluppato. Certamente dal punto di vista culturale c’è ancora tanto da fare. Pochi sono stati gli insegnanti che hanno saputo per esempio cogliere il grande beneficio didattico che questi giochi possono apportare in termini di socializzazione, approccio alla storia e conoscenza di un patrimonio multietnico comune. Historygames infatti è nato in Umbria per volontà di cambiare questa situazione di stallo culturale.

Cosa ha trovato in Umbria che non c’è nella Tuscia e viceversa cosa della Tuscia non ritrova lì?

In Umbria vedo più attenzione alla cultura, investimenti nel settore culturale che con gli anni hanno dato i loro frutti. Si respira un’aria di apertura e cordialità e le città d’arte dimostrano che si può contare su un’economia del territorio basata sul bello che ci è stato lasciato in dono dal passato. La Tuscia non ha nulla da invidiare all’Umbria, ma è una questione di mentalità. Spero per il futuro che si capisca quanto la bellezza artistica e paesaggistica ci salverà.

Insomma Monica Silvestri è un cervello in fuga dalla Tuscia, a cui però lascia una porta aperta.

 

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