Se il corpo è uno strumento, la fisioterapia può essere la chiave per accordalo: al centro di qualsiasi intervento deve esserci l’ascolto. Barbara Matteucci racconta così il taglio olistico che caratterizza il suo approccio alla cura e alla riabilitazione di pazienti affetti da varie patologie. Nel suo studio viterbese, negli ultimi quindici anni ha aiutato a ritrovare quella che chiama “postura naturale” a centinaia di persone. “Quando ho iniziato a occuparmi di salute – spiega – mi sono resa conto che non potevo dividere il corpo dalla mente, né il sintomo dalla storia della persona. Ogni dolore racconta qualcosa. Così è nata la mia passione per la fisioterapia olistica: dall’incontro tra la scienza e l’anima. È la mia maniera di unire ciò che ho imparato nella razionalità della ricerca con la saggezza delle discipline orientali. In fondo, non si tratta solo di curare ma di riportare armonia, come farebbe un accordatore con uno strumento”.
Parla del corpo come una carta geografica: cosa sottende questa similitudine?
Il corpo, per me, è una geografia vivente. Ogni tensione, ogni respiro trattenuto, ogni postura racconta una storia, come se sulla nostra pelle fossero tracciati i confini di un territorio che ci appartiene e che al tempo stesso dobbiamo ancora esplorare. Nel mio libro “Postura Naturale” (in uscita per Sette Città, ndr) propongo di camminare nei sentieri del corpo: sono vie simboliche che ci guidano dal radicamento alla libertà, dal peso alla leggerezza. Imparare a leggere questa mappa significa riconoscere dove siamo contratti, dove scorriamo, dove abbiamo smarrito il contatto con noi stessi. È un viaggio di ritorno verso la casa interiore.
Cos’è la postura interiore e come possiamo trovarla?
La postura interiore è l’atteggiamento dell’anima nel corpo. Non riguarda solo la posizione della colonna o l’appoggio dei piedi, ma il modo in cui stiamo nella vita: come ci apriamo, come resistiamo, come respiriamo di fronte a ciò che accade. Per trovarla serve silenzio, presenza e ascolto. Serve rallentare. Quando smettiamo di “aggiustarci” e cominciamo ad “ascoltarci”, il corpo trova da solo la via verso la sua forma naturale. È un processo più simile a uno sbocciare che a un correggere.
Quanto il ripiegamento su smartphone e social ci allontana dalla nostra postura naturale?
Moltissimo. Il corpo imita ciò che viviamo dentro. Lo sguardo basso, le spalle chiuse, la respirazione superficiale sono il riflesso fisico di un movimento interiore di chiusura e dispersione. Quando siamo costantemente proiettati fuori, nello schermo, nelle notifiche, nei confronti, perdiamo la verticalità, non solo fisica ma anche interiore. Ritrovare la postura naturale significa tornare a sollevare lo sguardo, respirare nel petto, percepire il contatto con la terra. Ogni volta che lo facciamo, torniamo anche a noi stessi.
Come cambia il rapporto con il proprio corpo dopo aver intrapreso un percorso di consapevolezza posturale?
Cambia completamente. Il corpo smette di essere “uno strumento da aggiustare” e diventa “un alleato da ascoltare”. Molte persone arrivano da me credendo di avere un problema da risolvere: una spalla che duole, una schiena rigida, un ginocchio bloccato. Poi, lungo il percorso, scoprono che il dolore era solo la porta d’ingresso per conoscersi. La consapevolezza posturale apre un dialogo nuovo con il corpo: ci insegna a fidarci di lui, a decodificarne i messaggi, a sentire quando ci stiamo allontanando dal nostro centro. Diventa una pratica di presenza quotidiana, come respirare o camminare.
Che ruolo ricopre la respirazione nella postura naturale?
La respirazione è il filo che tiene insieme tutto. Nel mio lavoro la considero una chiave ma anche una bussola. Ogni inspirazione ci radica nella materia, ogni espirazione ci restituisce al cielo. Tra i due poli nasce il movimento naturale, quello che non forza, non corregge, ma si espande da sé. Il respiro è anche un indicatore immediato del nostro stato interiore: quando siamo tesi, si accorcia; quando siamo in pace, si apre. Ritrovare una postura naturale significa, prima di tutto, ritrovare un respiro libero.
Con l’associazione La Piuma di Viterbo si è occupata a lungo di malati di Parkinson. In che misura la fisioterapia può aiutare chi soffre di tale patologia?
In misura profonda. Lavoro da molti anni con persone affette da Parkinson e ho imparato che, oltre agli aspetti motori, ciò che più conta è restituire loro la fiducia nel proprio corpo. Attraverso esercizi posturali, respiratori e di movimento consapevole, come nel Qi Gong, si può migliorare la stabilità, la coordinazione, ma anche la qualità della vita. Il corpo, anche quando cambia, conserva una memoria di armonia che può essere riattivata. Nel mio progetto di ricerca Parkinson e Qi Gong stiamo studiando proprio questo: come la lentezza, la presenza e il respiro possano diventare strumenti terapeutici. La mia esperienza come presidente dell’associazione La Piuma Viterbo per la riabilitazione nel Parkinson mi ha permesso di approfondire in modo concreto quanto il sostegno, la condivisione e la pratica costante possano trasformare il percorso riabilitativo. Oggi continuo questo impegno come volontaria dell’associazione Parkinson Viterbo, dove il mio lavoro si intreccia con il Qi Gong e con la natura, in un dialogo silenzioso che aiuta il corpo e lo spirito a ricordare la loro armonia originaria.
Da fisioterapista quali sono gli aspetti più difficili da comunicare e trasmettere?
Forse il più difficile è far comprendere che la guarigione non è un “fare”, ma un “lasciare accadere”. Viviamo in una cultura abituata a pensare che la salute sia un obiettivo da raggiungere, mentre in realtà è uno stato che emerge quando corpo e mente smettono di opporsi. Spiego spesso ai miei pazienti che la postura non si corregge: si ritrova. Il mio ruolo è accompagnarli a riconoscere la loro intelligenza corporea, che sa già cosa fare. È un processo lento, ma quando accade, è come vedere una persona tornare a casa nel proprio corpo.
























