Alla luce della tarda primavera, Bagnaia, il piccolo centro a due passi da Viterbo, è al culmine della sua bellezza. Arrivando sembra sempre di entrare in un luogo in cui il tempo scorre più lentamente: le signore anziane sulle panchine a godersi il sole, i passanti che si muovono lenti nella piazza, come quel distinto signore in panama e bastone, che sembra uscito direttamente da una vecchia fotografia. «Io invece sono negata per le fotografie, allora scrivo». Quelli che Miriam D’ottavio ama scrivere sono aneddoti, episodi, piccole storie che lei chiama scherzosamente “brifàcole”. Ma a pensarci bene anche le sue brifàcole sono fotografie, fatte di parole però, che ricreano immagini e personaggi di una Bagnaia lontana nel tempo. Bianchi e neri che per magia riprendono i loro colori, grazie alla verve e all’ironia tutte bagnaiole di Miriam, insegnante in pensione. Da qualche tempo le brifàcole vengono pubblicate con successo sul gruppo Facebook “Immagini da Bagnaia”. «Il gruppo è stato fondato da Fazia Marcucci, grande appassionata di Bagnaia, soprattutto quella “di dentro”, il cuore del centro storico. Anch’io sono innamorata di Bagnaia, ma di quella che vorrei, quella che mi piace tanto ricordare, ma non perché si debba ritornare al passato. Quello non si può».
Intanto è lecito domandare a Miriam l’etimologia del termine brifàcole. «Sembra che sia una derivazione dialettale di brevi favole, le storie che i bambini chiedevano ai grandi di raccontare. Esisteva una ritualità tenera, un gioco di parole: “mi racconti una brifàcola?” “Te la dico o non te la dico? Per dirla ci vuole gran tempo!”, rispondeva burbero l’adulto. Il nipotino ribatteva, “allora non me la dire”, e l’adulto allora “Per non dirla ci vuole un gran tempo…” e così via». Consuetudini familiari difficili da immaginare nella società di oggi, eppure presenti e vive nella memoria di chi legge e ricorda. Miriam D’ottavio ha scritto una cinquantina di brifàcole, storie di personaggi che hanno lasciato un segno nella memoria collettiva della comunità, che tutti i bagnaioli conoscono: di come si comprava, come si mangiava, come ci si divertiva, i luoghi iconici, gli antichi mestieri, le ricette tipiche – come le famose “patate cacarne”. I post di Miriam sono molto apprezzati e seguiti, anche al di fuori di Bagnaia. «Scrivo da sempre, ma soprattutto da quando, per motivi di salute, sono rimasta per lungo tempo costretta a casa», spiega, inanellando immagini e ricordi vividi. «Ad una certa età piace ricordare il passato, per il timore che esso vada perduto».
«Negli anni Cinquanta Sessanta mio padre Peppe aveva una bottega in Via Cardinal de Gambara. Perché bottega e non negozio? Perché il negozio è solamente il luogo ove si vende, la bottega, al contrario, è il luogo ove anche si produce. E da zio Peppe si produceva: il pane che mia madre ogni mattina preparava ed infornava al forno della Paolina, le ciambelle e i ciambelloni, che si vendevano anche nei negozi dei paesi vicini. Si poteva trovare tutto lì, anche le pasticche per il mal di testa, e infatti tutti ci andavano; ricordo che le donne avevano una specie di libretto nero dove segnavano gli acquisti, che pagavano alla fine del mese, una specie di carta di credito. Il pomeriggio la bottega diventava una specie di circolo, dove si radunava un po’ di gente per parlare del più e del meno. Io stavo lì e ascoltavo, con la bocca spalancata. Raccontavano le storie che oggi diventano le mie brifàcole». Ed ecco allora riemergere dal passato, e sembra di vederla in carne ossa, la fascinosa signora Annetta: «Una donna al di fuori dei canoni, si vestiva sempre benissimo, con grandi cappelli a tesa e abiti di pizzo, si vedeva bellissima e capace di far girare la testa agli uomini, a quegli stessi uomini che invece la prendevano pesantemente in giro», racconta Miriam. «Oppure la Mimma, una donna alta e grossa che aveva tanti figli e non sapeva come sfamarli, si arrangiava come poteva. Chiamava sempre il dottore e si faceva prescrivere lo sciroppo per la tosse. Un giorno lui le chiese, Mimma, ma che ci fai con tutto questo sciroppo? Eh, rispose, glielo dò ai figli sul pane a merenda… che gli dò sennò?». E ancora, le figure oggi quasi mitologiche dell’ombrellaio, che arrivava in paese in bicicletta e “accomodava” ombrelli, ma anche bacili e piatti, ricucendoli con filo nero; Il simpatico “lattarolo” Pilade, che portava il latte appena munto in paese; Nunziata la stracciarola, che passava insieme al figlio con un furgoncino carico di chincaglieria e comprava gli stracci. Ma anche la storia familiare di Miriam è materia da brifàcola: «Quando ero molto piccola, siccome ero un po’ monella, mia madre mi teneva al negozio, ma io scappavo sempre per la strada. Allora lei mi legò una cinta alla vita, così io potevo arrivare solo fino alla porta. Le suore di Bagnaia passarono, mi “sciolsero” e mi portarono a frequentare l’asilo da loro. Sono stati anni difficili e felici, dopo la guerra; in quella piccola comunità c’erano dei valori, la solidarietà, specie “di dentro” erano tutti per uno uno per tutti. Oggi non si può fare un paragone, la comunità di Bagnaia oggi è molto diversa da allora».
Miriam è cresciuta in una famiglia in cui si leggeva, e tanto, «anche se non si potevano comprare tanti libri». Da adulta è diventata un’apprezzata insegnante e in seguito ha collaborato alla Biblioteca della Torre, sita in Palazzo Gallo. «Dipendeva dal Centro Polivalente La Torre, è stata inaugurata oltre dieci anni fa. Facevo delle letture molto seguite. Ora è stata smantellata, per i lavori di manutenzione dello stabile. I libri attendono impacchettati che venga stabilita la nuova sede». In attesa di questo, e con il progetto di una pubblicazione che le raccolga, le brifàcole viaggiano sul social “Immagini da Bagnaia”, che attualmente ha 3750 membri, oltre la metà degli abitanti stessi del paese, distribuiti in varie parti del mondo, non solo Europa ma anche America, Australia, Africa e Asia. In Italia viene seguito da molte regioni, dalla Liguria alla Sardegna, Campania, Lombardia. E finalmente Bagnaia non viene nominata soltanto grazie al campione di moto omonimo. Prendiamo congedo da Miriam D’ottavio e dalla Bagnaia di tanto tempo fa, chiedendole un ultimo ricordo, magari uno relativo alla sua famiglia. «La mia vita è stata come un film. Ho ancora tante cose da imparare. Ho persone da proteggere ed amare…. E brefàcole da raccontare. Mia nonna Margherita non sapeva leggere e scrivere ma sapeva tutta la Divina Commedia a memoria, l’Orlando furioso e tutta l’epopea del Ciclo Bretone. Come faceva? Ascoltando chi le leggeva. Se comincio a parlare di mia nonna non finisco più perché mi piaceva la sua ironia, il suo sapere nonostante le difficoltà, nel crescere nove figli con pochi mezzi. Lei, alta poco più di un metro e mezzo metteva in riga tutti quei maschi, compreso nonno Checco. Io, pur essendo la più piccola tra le nipoti femmine, non ero la sua preferita, forse perché di carattere ci somigliavamo. Le chiedevo: “Nonna, tra me, Giuliana e Lilli chi è la più carina?” Lei mi rispondeva: “Tu cominci a migliorare con la crescita”».































