La Tuscia per Maria Isabella Safarik ha contaminazioni piuttosto forti. Lei storica e critica d’arte in ambito internazionale è una figlia d’arte e di che tinta. Il suo papà Eduard A. Safarik nasce il 19 maggio 1928 a Bratislava, negli anni Sessanta arriva dall’ex-Cecoslovacchia in Italia, dove è rimasto fino al 2015, anno della sua scomparsa, a Viterbo. Con lei percorriamo un viaggio che traccia il suo legame forte con la Tuscia mai interrotto.
Partiamo da San Michele in Teverina, il luogo remoto del viterbese in cui tutto è cominciato…
Papà mi raccontava questa storia: negli anni Settanta venne invitato da Ugo Montalboldi, industriale viterbese e collezionista d’arte, a dare un parere su alcune opere d’arte collocate nel palazzo sulla grande piazza di San Michele in Teverina. Quando gli chiese quanto fosse il suo onorario, papà si affacciò alla finestra del palazzo e gli disse che voleva il podere che si vedeva oltre la vallata, perché se ne era innamorato. Montalboldi, il quale aveva grandi proprietà terriere e immobiliari in tutto l’Alto Lazio, gli rispose che era di sua proprietà e che glielo avrebbe ceduto volentieri, ma era solo un rudere con un po’ di terreno. A quei tempi si facevano questi tipi di accordi tra gentiluomini. Gli chiese inoltre se anche la villetta con giardino davanti Palazzo Montalboldi fosse libera, perché voleva far venire in Italia i suoi genitori dall’ex-Cecoslovacchia, i miei nonni. Entrambe le richieste furono soddisfatte. Così il casale divenne la casa di campagna dei Safarik, che vivevano stabilmente nel centro di Roma. Papà era incantato dalla natura della Tuscia, dove rilassarsi e studiare, ed io sono cresciuta tra querce, cinghiali, ginestre, castagni, ulivi, meli, rovi da more, boschi, funghi e anemoni.
Quali erano i suoi legami con quel territorio della Valle Teverina, avvolto nella nebbia ma di un fascino ancora non sporcato?
Sono nata e vivo a Roma, ma l’Alto Lazio è la mia seconda casa. Non crederete quanto io lo conosca bene. Nelle giornate in cui la nebbia si sposta insidiosa tra le valli dei calanchi e appare in banchi, posso percorrere a memoria ogni strada statale, provinciale, bianca e scorciatoia del territorio. Non è possibile qui citare anche solo un decimo delle meraviglie della zona tra arte e paesaggio. Una piccola immagine la voglio evocare, o meglio sceglierò un colore. Mentre viaggiate per la Teverina cercate il giallo: i campi di senape e girasoli, i tufi delle case, le susine sugli alberi, il sole che tramonta. Lasciate la macchina al bordo della strada e correte a farvi una foto con il giallo della Teverina, è strepitoso in ogni tonalità immaginabile, caloroso come gli abitanti dei paesi gioiello arrampicati sulle strisce di terra, adagiati nelle valli, appollaiati sulle rocche.
Che ricordi ne ha? Ci ritorna di tanto in tanto?
Quando ero piccola andavo alla festa patronale di San Bartolomeo e ricordo l’oca viva gigante messa in palio alla tombola, la rappresentazione teatrale del martirio del santo in cui dei sacchi della spazzatura simulavano lo strappo della pelle, gli incredibili fuochi d’artificio alla fontana del lavatoio. Sono una persona sentimentale: le persone ed i posti del cuore me li porto impressi a fuoco nell’anima. Gli odori della macchia mediterranea, il cielo notturno in cui si vedono tutte le stelle proprio tutte, il frinire impertinente della cicala, il richiamo dell’upupa, la consistenza morbida dei fichi maturi, l’abbraccio dolce di papà.
Lei ha detto: “L’arte è espressione estetica dell’interiorità dell’animo umano. In un’opera d’arte ci identifichiamo, possiamo trovarci la nostra parte nascosta”. La sua qual è?
La parte nascosta di me che identifico nelle opere d’arte? Ho perso il bandolo dei fili rossi che legano arte e vita, sicuramente continuo a cercarne. A dirvi la verità non ricordavo quasi di averlo scritto ed è normale, perché forma ed contenuti si evolvono con il passare del tempo, e, spesso, gli scrittori stentano a riconoscere i loro stessi testi, non per rinnegarli, ma per sentirsi liberi trovare nuovi fili rossi. Mi fa piacere che questa frase abbia colpito nel segno e molti mi scrivono sui social identificandosi nelle mie frasi brevi. Nella mia carriera sono fiera di avere una laurea in storia dell’arte, una in filosofia, un master universitario, parlare tre lingue, aver collaborato a molti libri e averne pubblicato uno, fatto ricerche e consulenze di prestigio su Tiziano, Caravaggio, Rubens, ma sinceramente comincia a piacermi l’idea di finire su Wikiquote!
Continuiamo a vedere sipari aprirsi online e a esplorare la sequenza di tesori culturali e di capolavori di cui la nostra Italia è ricca, in attesa di dipingere il futuro del nostro paese con i colori più belli e di poter tornare ad ammirare la bellezza con occhi rinnovati. Come si prospetta il mondo dell’arte dopo una pandemia? Quali sono i suoi progetti?
I miei progetti sono in evoluzione, riguarderanno certamente l’arte e la letteratura artistica, ma di più al momento non posso svelare. Durante la Pandemia di Covid-19, un collezionista straniero, che mi contattava ogni settimana per parlare d’arte ed avere “consigli per gli acquisti”, mi ha confidato che, nonostante potesse comprare on-line i dipinti, gli mancava il contatto diretto con le opere e andare personalmente alle esposizioni prima delle vendite all’asta. Le nuove tecnologie sono di supporto alla realtà, ma non la possono sostituire. Gli ultimi anni sono stati difficili, ma stiamo tornando a riprenderci lo spazio collettivo per coltivare i bisogni l’anima in presenza. Se c’è una cosa che ho imparato nella vita è che quando smetti di sognare e di cercare ciò che è bello per te, tradisci te stesso e ti fai molto male.
Tornando a Viterbo, ha realizzato a suo tempo anche una mostra al Gran caffè Schenardi con Vittorio Ioppolo, figlio del grande Roberto. Magari si può pensare a una mostra importante in fase di riapertura del Caffè, una mostra importante in cui il visitatore abbia la possibilità di ammirare una raffinata architettura e di respirare l’aria dei “tempi che furono”….Un sogno realizzabile?
Assolutamente realizzabile. Vittorio Ioppolo, stimato collega ed un grande amico, direttore della Casa Museo di Roberto Joppolo a Viterbo, con cui abbiamo in comune l’essere figli d’arte, non si tirerebbe indietro quando ci fossero la volontà e i finanziamenti per il progetto. L’indimenticato Roberto Joppolo, da poco scomparso, è uno dei più incredibili artisti italiani, un pioniere, un genio, un animo sensibile per chi, come me, ha avuto la fortuna di conoscerlo. Quando venendo da Roma siete sull’Autostrada del Sole all’altezza di Orte, lanciate uno sguardo alla grande statua della Virgo Prudentissima, cosiddetta Madonna dell’Autostrada, da lui ideata, benedetta da San Giovanni Paolo II. Non è esatto dire che si può fare tutto ciò che si vuole, ma è vero che si vuol fare tutto ciò che si può.
Ci sono artisti nella Tuscia che ritiene siano promettenti?
La risposta non è facile. Al momento non mi viene in mente un artista che sia davvero, a mio parere, un fuoriclasse, però potete smentirmi, anzi per favore fatelo. Sono specializzata in arte italiana ed europea del Sei e Settecento, tuttavia affianco altresì giovani artisti nel loro percorso creativo ed espositivo, perché è una sfida appassionante. Tra coloro che lavorano nell’arte, con l’arte e per l’arte, vorrei attirare l’attenzione su figure professionali, talvolta trascurate nel dibattito, senza le quali competenze tecniche l’arte languirebbe in un angolo. Le opere d’arte hanno bisogno di “avere un tetto sopra la testa” e, affinché abbiano una casa, sono indispensabili gli architetti. Viterbo ha la fortuna di avere lo Studio dell’Architetto Emanuele Aronne, fiore all’occhiello della tutela del patrimonio immobiliare pubblico e privato del territorio della Tuscia, della sua conservazione e sua valorizzazione.
Si dice che “L’arte è un appello al quale troppi rispondono senza essere chiamati” Lo pensa anche lei?
Molti raccolgono i frutti di alberi che non hanno piantato. La consapevolezza e l’onestà intellettuale sono esse stesse dei beni culturali. Purtroppo sono rimaste aperte alcune questioni dopo la morte di papà, a causa del fatto che non tutti ragionano e agiscono in buona fede riguardo ai beni culturali. Ma non è luogo per trattare di queste dispute, perché alla bellezza ci si approccia con la gioia dei bambini il giorno di Natale. Papà, di cui porto il cognome e l’eredità morale, m’incitava a sorridere davanti alla bellezza in cui abbiamo la fortuna di imbatterci. Mi viene in mente che a San Michele in Teverina c’è un sasso su cui si dice abbia dormito San Francesco… ma questa è ancora un’altra storia.
Torniamo a dove siamo partiti, San Michele in Teverina. Ha più visitato la chiesa di San Michele Arcangelo, che suo papà il professor Eduard A. Safarik, volle che fosse restaurata, sottratta al degrado, riportata a nuova vita, a cui offrì in dono un dipinto della Madonna di sua proprietà?
Mio papà diceva: “Fai del bene e scordatelo”. Quindi del dono della Madonna di San Michele in Teverina non ha mai parlato con me, ciò che sapete voi lo so io. La caratteristica delle opere d’arte che spesso le persone dimenticano è ragionare oltre il valore economico e storico, e che devono “andare dove è giusto che stiano”. Il lavoro di uno storico dell’arte consiste essenzialmente nel distinguere il falso dal vero, sapere la collocazione corretta, tenendo a mente altresì che la libera circolazione dell’arte si pone come caposaldo della libera circolazione ed espressione delle idee.
C’è un ricordo che conserva nel suo cuore di quel luogo?
Vi racconto storia una mai raccontata. Quando ero piccola e passavo i week-end e la settimana della festa del patrono nella villetta dei nonni, con gli amici giocavamo sulla piazza e andavamo in bicicletta. La lunghissima discesa del paese termina nel ponte storico dove allora si formava un’incredibile pozzanghera, strepitoso divertimento per i bambini in bicicletta. Come tutti i bambini avevamo voglia di esplorare e la nostra avventura preferita era introdurci nel giardino del castello a vedere il grande albero di camelia col cuore che batteva forte. Non ci era permesso dagli adulti, il giardino non era accessibile a nessuno, ma noi eravamo bambini e ci divertivamo un mondo. Tranquilli, non rompevamo né rubavamo nulla. Quando internet non c’era, per noi era un semplice emozionante giocare a fare gli esploratori.
C’è un’immagine che rappresenta il suo personale “I love Tuscia”?
Sicuramente e più di una. Una foto degli anni Novanta, se volete inserirla qui, mi ritrae insieme a papà Eduard A. Safarik e alla mia cara nonna Maria Helena, che ha vissuto nella villetta di San Michele in Teverina. La foto non ha la qualità a cui oggi siamo abituati, ma sullo sfondo si distingue il lago di Bolsena con le sue isole, dal punto panoramico della Rocca di Montefiascone, che io ragazzina indico col dito come fossi la protagonista di un dipinto. Adoro i laghi della Tuscia, li trovo affascinanti, quasi magici. Il linguaggio dell’arte contiene alcune immagini ricorrenti, tra le quali la mano: il dito di Dio e dell’uomo che si indicano e si sfiorano nella creazione di Michelangelo; le molteplici attraenti mani di Rembrandt; l’interpretazione autobiografica della mano di Escher. In ogni immagine la mano col dito puntato designa qualcosa di davvero essenziale, imperdibile. Consiglio a tutti di esplorare la Tuscia e scoprirne le bellezze.
Foto: Maria Isabella, la nonna Maria Helena e il papà Eduard A. Safarik in una foto degli anni Novanta davanti al panorama del lago di Bolsena dalla Rocca di Montefiascone, Viterbo.
Foto cover: Maria Isabella Safarik, storica e critica d’arte, con la Pietà, scultura in marmo di Jago, Roma 2021, nella Chiesa degli Artisti a Piazza del Popolo, articolo e foto in Safarik Art Magazine.
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