Marco Guglielmi, il Magister Monetae di Viterbo

marco guglielmi

Il grande Benvenuto Cellini definiva l’attività di incidere e coniare moneta “l’arte del picciol cerchio”. Solo un viterbese come Marco Guglielmi,  animato da grande passione per la propria città, poteva pensare e ideare per questa arte uno spazio espositivo ad hoc, aperto ai visitatori, nel quale rammentare alle generazioni di oggi, il vanto tutto viterbese di aver posseduto in un lontano passato una Zecca propria, e il privilegio di aver potuto battere una sua peculiare moneta. L’Antica Zecca di Viterbo è quanto di più simile a un varco temporale si possa trovare nelle seppur antiche e fascinose viuzze della città vecchia. I suoi locali, che sembrano provenire direttamente dal XIII secolo, si trovano alla base di una torre, nelle adiacenze dello storico quartiere di San Pellegrino.  Dalle parole del suo ideatore e curatore Marco Guglielmi, conosciuto come Magister Monetae, personalità affascinante e poliedrica, traspare una estrema competenza della storia medioevale, unita a una grandissima passione per le antiche vestigia in grado di parlarci di quel tempo lontano.

Incisore, scultore, perito esperto numismatico nonché scrittore, Guglielmi ha l’aspetto e la fierezza di un signore di altri tempi, e la consapevolezza di appartenere ad una città dal glorioso passato. “Nel Medioevo, i destini di Viterbo e della famiglia imperiale Hoenstaufen furono per qualche tempo indissolubilmente legati. Fu Federico I Barbarossa a concederle il diritto di fregiarsi del titolo di città. E nel 1240 fu il nipote Federico II, lo Stupor Mundi, a concederle il diritto di battere moneta”, esordisce il Magister, che si dichiara federiciano, a dimostrare la sua ammirazione per il grande imperatore. Il termine “battere” deriva dal fatto che i primi conii, di cui Guglielmi mostra un antico esemplare, prevedevano che il dischetto di metallo, che sarebbe poi divenuto moneta, venisse collocato fra due parti incise “al negativo”, che successivamente venivano “battute” con forza da un martello. La pressione derivante incideva la moneta su entrambe le facce. I conii poi si modernizzarono a seguito delle innovazioni tecnologiche, consentendo realizzazioni sempre più accurate.

In un espositore trasparente sono ordinatamente disposte decine e decine di esemplari di monete antiche. Monete che hanno attraversato i secoli, testimoni silenziose delle vicissitudini della storia e degli uomini che le hanno maneggiate. “La prima moneta viterbese fu detta viterbino”, continua Guglielmi, mostrandoci una piccola moneta contrassegnata dai simboli di testa e croce. “Era fatta in una lega di rame con una piccola parte di argento, e le immagini sovraimpresse costituivano un messaggio”. Nel caso della croce, presente sul viterbino come su altre monete, lo scopo era propagandare la cristianità. La “testa” invece recava la simbologia della città di appartenenza; nel caso di Viterbo, mutò a seguito delle sue vicissitudini nel corso della storia.  “Forse non tutti sanno che nel Medioevo le monete venivano pesate e non contate” continua Guglielmi. “Il valore delle monete era dato dal metallo che le costituiva”. In una vetrina illuminata trovano posto strani esemplari dalla sagoma irregolare. “Queste monete furono limate ai bordi per ricavare preziosa polvere d’argento: un reato che se scoperto, veniva severamente punito”.

Ma gli interessi di Marco Guglielmi non si limitano alla numismatica. Nelle sale dell’Antica Zecca fanno bella mostra di sé decine di ceramiche antiche. “Fu sempre Federico II ad istituire a Viterbo la Fiera dell’Impero. Un prestigioso mercato per il quale vennero in città maestranze arabo-musulmane, che importarono le loro tecniche di realizzazione della ceramica. Tecniche che vennero fatte proprie dagli artigiani locali”. E che si ritrovano nel prezioso vasellame da lui ricostruito con perizia e passione.

La carriera di Marco Guglielmi è costellata da collaborazioni prestigiose, come quella avvenuta nel 2006. “Ricorreva il cinquecentenario della prima paga corrisposta a un drappello di Guardie Svizzere pontificie. In quell’occasione sono stato chiamato a realizzare riproduzioni in oro e in argento degli antichi Ducati di Giulio II. Rappresentanti della Guardia Svizzera in congedo hanno intrapreso un cammino a piedi da Bellinzona fino ad Acquapendente, luogo dello storico avvenimento: qui nel corso di una rievocazione storica, hanno ricevuto in dono le preziose monete, da me realizzate in collaborazione con il noto orefice viterbese e amico Renzo Biaggi, purtroppo scomparso”. 

L’amore per la storia e per la sua città si è anche concretizzato nella scrittura di due romanzi storici, ambientati a Viterbo, “La panata di Santa Rosa” e “Ecce Agnus Dei”. Un amore per la storia che Guglielmi ha ereditato dal nonno. Un amore che è indissolubilmente legato a quello per l’antica e prestigiosa città di Viterbo:  come un’eredità preziosa, lo ha trasmesso a sua volta al figlio Mirko, valente scalpellino e interessato al recupero di antiche infrastrutture, devastate nei secoli dall’incuria e dall’imperizia.

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