Lo Scaffale/ Fra i boschi e l’acqua il libro di Patrick Leigh Fermor

Un libro suggerito per scoprirne il modello ancora fragrante di quel modo di viaggiare (e di vivere) che sarà dall’autore un giorno identificato con la fisionomia di un giovane amico di Leight Fermor: Bruce Chatwin.
A Patric Leigh Fermor,va riconosciuta una capacità innata di descrivere il mondo che attraversa nei sui viaggi a piedi, coglierne l’ essenza attraverso la composizione di un mosaico in cui ciascun tassello: “la sagoma di una finestra, il taglio di una barba, alcune sillabe ascoltate per caso, la forma poco familiare di un cavallo o di un cappello, un mutamento d’accento, il sapore di una nuova bevanda”, contiene dentro di sé infinite storie da raccontare.

Un mondo aristocratico quello che appare ai suoi occhi di cui analizza l’evoluzione nel tempo e nello spazio e lo restituisce al lettore con grande eleganza. Un mondo quello dell’Ungheria e delle nazioni limitrofe, attraversate da Fermor, che di li a poco sarebbero state spazzate via dalla seconda guerra mondiale. Il passaggio in Transilvania in direzione di Costantinopoli, mette in risalto le qualità dello scrittore, riconosciuto dalla critica, come uno dei migliori scrittori Inglesi di viaggio del 900’. Qui il ritmo del viaggio rallenta, il passo si fa più pigro, la percezione del tempo svanisce, come in “un felice e gradito incantesimo”. Ciò che cattura in lui è la dote di passare con estrema naturalezza da un’ospitalità, di “lusso” in un castello, dove instaura con la famiglia che lo ospita un rapporto tale, da sembra frutto di un’ amicizia di diversi anni, invece che di poche settimane. Trascorre alcuni notti in un convento, dove parla in latino con il padre Priore, unica lingua che possa gettare un ponte tra i due. Accetta un ricovero di fortuna presso dei porcai e dopo aver condiviso con loro una bottiglia di buon vino a cena, con la convivialità, nata tra loro, supera ogni barriera linguistica. Si sposta a piedi, o sul dorso del fido Malec, prestatogli per l’occasione, in carrozza, in auto o su un carretto colmo di fienagione condotto da un contadino che rientra al paese, non si crea nessun pro-blema. Ha l’energia dei giovani intraprendenti, il suo modo di adattarsi ad ogni situazione, ad ogni incontro umano, che lo fanno apprezzare al lettore per la sua naturalezza. Fermor è un uomo dove il viaggio è parte integrante del suo modo di essere e con grande naturalezza ne evoca incontri con cervi e boscaioli, ritrae manieri isolati e villaggi di montagna, fienagioni e favolose biblioteche, rievoca notti passate sotto le stelle e amori estivi, riferisce leggende di spiriti, fate e lupi mannari e conversazioni con un’aristocrazia votata all’estinzione che con quel filo di eleganza lascia la speranza di un mondo quantomeno un pò più gentile.Tutto il resto dipende da noi

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