Il costruttore Vincenzo Fiorillo: il “Gimbo” Tamberi del Pilastro

di Arnaldo Sassi

vincenzo fiorillo

Un uomo che si è fatto da solo. E’ questa la definizione più appropriata per descrivere in estrema sintesi Vincenzo Fiorillo, 69 anni, titolare dell’impresa “Edilnolo” e costruttore di “Gloria”, la Macchina di Santa Rosa ideata da Raffaele Ascenzi, che ieri sera ha vissuto il suo ultimo e definitivo trionfo. Sì, un classico esempio del saper vivere con tanta voglia di fare e di non arrestarsi mai di fronte alle difficoltà che la vita spesso mette davanti a tutti noi.

Da “ragazzaccio” nato e cresciuto nel popolare quartiere del Pilastro (mi permetto di chiamarlo affettuosamente così, in quanto anche chi scrive ha avuto le stesse origini e le stesse caratteristiche, condividendo con lui l’età dell’adolescenza e le goliardate di una volta) a imprenditore di tutto rispetto e addirittura presidente di una banca. Un salto simile a quello nell’alto dell’olimpionico e campione del mondo “Gimbo” Tamberi.

“Sì – esordisce – la voglia di fare non mi è mai mancata. Anche perché mio padre faceva il muratore e avevo ben cinque fratelli. Per un po’ di tempo ho cercato il posto fisso. Mi avevano promesso quello di autista di pullman, ma non è mai arrivato. Nel frattempo mi ero sposato e stavo anche per diventare papà”.

 E allora cosa hai fatto?

“Lavoricchiavo, un po’ qua e un po’ là. Poi, una mattina, ho parlato con lo specchio e mi sono detto che non potevo più aspettare quel posto. Che dovevo ricominciare tutto daccapo. E così ho fatto. Mi sono messo a fare l’imbianchino. Dopotutto servivano solo un pennello e una scaletta. Ma in testa c’era la mia volontà imprenditoriale. Quella non mi è mai mancata. E piano piano è venuta fuori”.

Quando?

“Nel 1985. Volli andare a visitare la Fiera di Milano e scoprii un mondo nuovo nell’edilizia, a me completamente sconosciuto. C’erano in mostra le prime piattaforme istallate sui camion, quelle che ti consentono di arrivare in brevissimo tempo a grandi altezze per poter eseguire i lavori. Me ne innamorai subito e decisi di comprarne una”.

E allora cosa accadde?

“Che cominciai a cambiare vita perché portai a Viterbo la prima macchina di quel tipo. Anzi, ce n’era un’altra, quella dell’ingegner Gori. Ma a me la concorrenza non ha mai spaventato. Anzi, ho sempre pensato che servisse a far aumentare la richiesta”.

Vita nuova, che ci fu…

“Sì, tanto è vero che piano piano iniziai anche ad assumere personale. Mi fu di grande aiuto anche mio fratello Bruno, scomparso purtroppo due anni fa. Gli affari cominciarono ad andar bene da quasi subito, tanto è vero che queste macchine diventarono due, poi tre, poi quattro. In breve diventammo una realtà per Viterbo”.

Beh, il perché è piuttosto semplice da spiegare…

“Certo. Vuoi mettere la diversa velocità nell’esecuzione dei lavori tra una piattaforma e un ponteggio? Quello che col ponteggio fai in dieci giorni, con la piattaforma lo porti a termine in mezza giornata. Basta spingere un bottone…”.

Quindi l’azienda è cresciuta…

“A un certo punto sono arrivato ad avere anche 40 di queste macchine. Ma ho continuato anche a lavorare nell’edilizia”.

Tra le altre cose, nel frattempo, sei diventato anche presidente della Banca dell’Alto Lazio…

“Sì, e per me è stato un onore che qualifica anche il Pilastro, il quartiere dove sono nato, che di persone importanti ne ha sfornate diverse“.

Come è successo?

“Accadde che nel 1984 divenni socio della banca. Poi qualche anno dopo mi chiamò l’allora direttore generale Massimo Caporossi per propormi di diventare consigliere del direttivo in rappresentanza degli artigiani. Accettai dopo averci pensato per alcuni giorni, ma mai mi sarei immaginato di arrivare a fare il presidente. Una carica che non ho mai cercato e che non era nelle mie ambizioni. Invece, dopo un po’, fui nominato vice presidente. E, alla scomparsa dell’avvocato Luigi Manganiello, allora presidente, divenni il facente funzioni. Di fare il presidente dissi che non me la sentivo. E invece…”.

 Adesso però, passiamo a Santa Rosa. Come è cominciata?

“Io facevo spesso lavori per il cavalier Socrate Sensi. Così quando lui vinse l’appalto concorso con ‘Armonia celeste’ mi pregò di dargli una mano, soprattutto per quel che riguardava la pittura. Del resto all’epoca io facevo l’imbianchino…”.

E poi?

“Poi ho continuato a collaborare anche quando sono cambiati i costruttori. E quando ho portato le piattaforme a Viterbo hanno cominciato a chiamarmi per l’assemblaggio della Macchina a San Sisto. Adesso si riesce a fare tutto in un giorno”.

E quando sei diventato responsabile della costruzione?

“Accadde con ‘Fiore del cielo’, la macchina di Arturo Vittori, il fratello dell’astronauta di Bomarzo. Il costruttore era Loris Granziera. Che, dopo due anni, abbandonò tutto e se ne andò per forti dissapori con l’ideatore. A quel punto mi chiamò il sindaco Giulio Marini dicendomi che il problema era gravissimo. Allora decisi di prendere in mano la situazione e portai a termine i rimanenti trasporti, devo dire con successo”.

Poi è arrivata “Ali di luce”…

“Sì, e in quell’occasione partecipai al concorso perché, con tutte le esperienze già fatte, mi sentii pronto ad accettare la sfida”.

E ti sei beccato anche la tromba d’aria del 2007…

“Sì, quello fu un giorno tragico. La Macchina penzolava tutta da una parte, insieme all’intero ponteggio. Ricordo che anche Contaldo Cesarini, il costruttore, era disperato. Ma nessuno di noi si perse d’animo. Era il 23 agosto e tutti noi giurammo che per la sera del 3 settembre l’avremmo rimessa in piedi. Mi ricordo che in quei giorni abbiamo dato tutto. Anche di più. E forse Santa Rosa ci ha aiutato. Ma è stato fatto un vero e proprio miracolo. Il mio figlio minore, Alessio, mise a repentaglio anche la sua vita, salendo in cima alla Macchina nel bidone di una gru insieme a Mauro Cappelloni, un facchino che purtroppo oggi non c’è più. Ma la passione coinvolse tutti e alla fine ce la facemmo”.

Adesso una curiosità: costruire la Macchina di Santa Rosa porta un guadagno o una remissione?

“Ti rispondo così: bisogna essere bravi, ma tanto bravi, per andare a pareggio o rimetterci poco. Ma dietro questa intrapresa c’è la passione, la generosità e il senso di appartenenza a una comunità. Tutti valori che senti dentro e che superano quello economico. Tanto è vero che sono di nuovo in lizza. Ma io nei confronti di Santa Rosa mi sento in debito per motivi di carattere personale. E questo debito lo devo ripagare”.

Io credo che tu lo abbia già ripagato abbondantemente…

“Lo spero. Ma so che nella vita bisogna essere umili e stare coi piedi ben piantati per terra. E soprattutto mai montarsi la testa. Io ho ancora rapporti con quelli del Pilastro, che è stata la mia culla, e li ho ottimi anche coi dipendenti della banca. E se posso aiutare chi è in difficoltà non mi tiro mai indietro. Sulla base delle mie esperienze passate..”.

Già: l’esperienza, per Vincenzo Fiorillo, è stata proprio maestra di vita.

Vincenzo Fiorillo

 

Foto: @pro loco viterbo

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