Ho visto Santa Rosa, ma non dove pensate

di Don Gianni Carparelli

Se avete notato sono un po’ visionario. Non però con esperienze allucinatorie da DSM-5, ma “ho visto” Santa Rosa. Non solo a Viterbo e se vi capita di viaggiare: In Brasile, in Messico, in Cile, in Colombia, in Argentina e lungo il “Camino Real”. Si fa fatica a metterla nel “Martirologio Romano”, lo sa bene il nostro Giovanni Faperdue, ma nel libro della geografia religiosa è ben presente. A Viterbo si dice nel linguaggio comune: “… dopo santa Rosa”. Adesso mi aspetto che ChatGPT ci dica: “… la casetta natale del Beato Domenico Barberi, è subito dopo Santa Rosa (Ospedale) e poi anche Villa Immacolata e San Martino si trovano dopo Santa Rosa, ex Belcolle). Premetto che abbiamo un dovere di riconoscenza e rispetto per tutti coloro, soprattutto il Sodalizio dei Facchini, che ogni anno si ripetono “… semo tutti d’en sentimento”. E anche se il vescovo ha ricordato di “essere Facchini nella vita” la realtà è che portare sulle spalle ogni giorno il peso di una torre illuminata sarebbe troppo…. ma il Vescovo intendeva ben altro. Però a Viterbo tutto gira attorno a santa Rosa e il “dopo santa Rosa” è sempre … “dopo”. Ma io sono un visionario e sono andato a cercare Santa Rosa. Sono andato nell’anima di tanti di noi, anche la mia, e non c’era. Sull’elicottero non c’era. Tra le migliaia di turisti e cittadini nelle strade, non l’ho incontrata. Tra le macchine del “suo” ospedale non c’era. In mezzo al bellissimo corteo storico non c’era. Tra i canti e preghiere del pontificale non l’ho vista. Dentro la famosa “macchina”, meravigliosa creatura dell’amico Raffaele, c’era, ma di vetroresina credo, da incompetente.. Nelle piazze gremite per le cene, non c’era. Negli editoriali sui media, compreso questo, non c’era. Nei negozietti dove vendono le sue immagini, non c’era. Nelle operette musicali che ogni tanto appaiono, alcune decenti (ma non mi ritengo esperto) non c’era… Nelle tre versioni mini-giovanili forse c’era ma perché anche Rosina era giovanile. Alla fine, stanco di perdere tempo, sono andato per i vicoletti non lontani da dove ora ammiriamo il santuario, vicino a una casetta semplice e povera dove i ricchi e i potenti non entravano e vedo una porta sgangherata aprirsi di sotterfugio e una ragazzina mentre esce guardinga e quasi di soppiatto. Ha un grembiule tenuto per le mani… ed ecco ritornare alla mia mente una storia che don Alceste mi aveva raccontato preparandomi alla prima comunione anni fa. Voleva insegnarmi che la fede è una cosa semplice e non ha bisogno di tanto mercato attorno. Questo serve, non fraintendetemi, ma volevo entrare nella sostanza troppo spesso dimenticata. Pregata forse si, cantata anche, predicata forse… ma assente poi dalla vita. Da lontano cercai di vedere cosa stava facendo questa “Rosina” come la chiamava chi la incontrava. Girava per i vicoli e quando vedeva un poveraccio si fermava, apriva il grembiule e dava qualcosa… mi sembra pane e frutta. Poi tornava a casa. Dice la leggenda che una volta il padre Giovanni, sospettoso, la scoperse e le impose di aprire il grembiule mentre la madre, Caterina?, si raccomandava a tutti i santi. Dentro c’erano solo delle rose e dei fiori della campagna. Le leggende a volte raccontano la verità dell’anima e della fede dei semplici. E io, visionario di speranze, ho visto in quella ragazzina semplice e generosa, il primo “camino Real” come lo chiamano i fedeli della nostra Rosa, mentre peregrinano dal Perù verso la Bolivia e poi in Argentina. Posso dirlo? La prima e vera “macchina” è Rosa che cammina visitando chi ha bisogno. Come una certa Maria che ricca della presenza di Dio nella sua vita si reca sulle montagne per visitare una cugina incinta e così onorare Dio amandolo nelle persone dove Dio veramente abita e che non è nel tempio. Così come Rosa. Non la troviamo dove pensiamo di festeggiarla e pregarla, ma dove è. Come ritornare, almeno spiritualmente, a questo cammino che è prima interiore e poi nella storia? Non mi permetto di suggerire percorsi pastorali altrimenti chi li sente…? Ma si potrebbe suscitare interesse smuovendo la attenzione culturale di tanti e tante che fanno onore alla città non solo perché ritornano per le feste, e vanno ringraziati, ma perché con il loro genio e ingegno, con le loro capacità professionali e culturali, con le loro ricerche negli studi, con il loro servizio nel volontariato e attenzione al disagio… eccellono nel servizio dando lustro alla città, il vero lustro. Non so se lo sapete… ma ce ne sono tante e tanti in giro. Forse non li vedete nelle processioni religiose, ma certamente in quelle della vita e della storia. Questi mi piacerebbe vedere annualmente onorati e riconosciuti con un incontro al Teatro, con musica, testimonianze per invogliare anche altri a fare bene il bene e per condurre le nostre comunità a livelli di civiltà alti, almeno come la macchina-torre della Santa. E un incontro con/per le persone disagiate e i nuovi arrivati, nel palazzo dei Papi? Perché onorare santa Rosa non è una cena o una festa o un pontificale per gli addetti, anche se apprezzabili e belli. Quella uscita di Rosa con il grembiule è per me la vera “prima macchina” da riportare nelle nostre strade a volte affaticate.  Le altre macchine, frutto della pietà popolare e del genio di chi le immagina e poi costruite dovrebbero riportare alla memoria la vita di Rosa, non la nostra. Ricordo l’uscita con Alessandro IV il 4 settembre 1258. Era un baldacchino, poi dove questo Papa sia attualmente non lo si sa ancora, ma quel 4 settembre c’era e tutto bello vestito a festa. Poi per vostra curiosità già documentata e non da me, ma da don Brizi, la prima “macchina” strutturata è del 1686-90 e progettata dal conte Fani. L’ultima nel tempo la ammirerete il 3 settembre 2025. Tornando alle radici della storia e della pietà dove, oggi, troveremmo Rosa? Non nei palazzi e vestita alla moda. Ma la troveremmo silenziosa e modesta negli ospedali, nelle case per anziani e persone sole, nei luoghi del disagio e a volte di aggressioni… accanto ai bullizzati e alle donne violentate, a imboccare negli ospedali chi non riesce a farlo da solo/a, nelle mense della Caritas e altri servizi del genere, vicino ai centri per migranti e forse dove sbarcano i gommoni, se arrivano… nei luoghi di guerra aiutando ogni vittima della violenza… sarebbe una nuova Madre Teresa. Mentre scrivo queste cose penso anche a me stesso: e tu, e io cosa facciamo? Diciamo “dopo santa Rosa” oppure “andiamo insieme a santa Rosa”? Buone feste… anzi: diventiamo noi la FESTA per chi non può festeggiare.

 

 

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