Salvatore Enrico Anselmi: Elogio dello Strapaese

di Salvatore Enrico Anselmi

VITERBO Palazzo Farnese affaccio su Pianoscarano, foto di Megan Nanna

«strapaéṡe s. m. [comp. di stra- e paese]. – Tendenza letteraria della prima metà del sec. 20° che si ispirò alle tradizioni schiettamente paesane, contro ogni forma di cosmopolitismo o esterofilia e quindi in opposizione al movimento di stracittà; le sue origini si possono far risalire al manifesto nazionalista compilato da G. Papini (1904), ma assunse questo nome, e si affermò come polemica espressione di un gusto, solo nel primo dopoguerra; la tendenza fu soprattutto rappresentata da M. Maccari, L. Longanesi e C. Malaparte.»

(da Strapaèse, a.v., Treccani, Vocabolario on linehttps://www.treccani.it/vocabolario/strapaese/. Per una definizione analitica si veda anche https://www.treccani.it/enciclopedia/strapaese/).

 

Chiarite le origini del termine e del movimento sorto agli inizi del Novecento, l’espressione Strapaese è dilagata nel lessico e nel sentire comune come sinonimo dispregiativo di estremizzazione del localismo e della provincia nell’accezione deteriore della stessa.

Propriamente questo secondo significato sembra attagliarsi a una tale città situata in area collinare, circondata da un territorio, di rara fascinazione topografica e storico-artistica.

Lo Strapaese è il luogo dove ci si apposta strategicamente in prossimità di sparuti gruppi di visitatori per scattare foto che attestino l’elevato flusso turistico nel centro storico. E ci si domanda come quei temerari, che si spingono fino a quella «città d’arte e di cultura», abbiano potuto raggiungerla sfidando la disfunzionalità dei collegamenti viari territoriali e dei trasporti pubblici regionali, delle infrastrutture e della persistente mancanza di divulgazione a favore di quello splendido arroccamento di pietra vulcanica, poetico e austero.

Lo Strapaese è il luogo dove un forestiero in visita si accalora a parlare con un abitante del luogo per esaltarne la bellezza e allo stesso tempo deprecare la scarsa visibilità nazionale di quel luogo stesso, visitato per caso, di passaggio o per personale curiosità.

Lo Strapaese prospera dove alcuni strumenti di cronaca e dibattito civile sono stati trasformati in statutari megafoni, pulpiti privati del politico di turno, e ricordano il fortunato vecchio marchio del cagnolino che accanto a un grammofono ascoltava mansueto e quiescente “La voce del padrone”.

Lo Strapaese è dove l’iconografia istituzionale del gestore di cosa pubblica conquista un microfono e somministra, all’uditorio il suo compìto, convenevole fervorino redatto con lo stesso piglio diligente di chi scrive senza lasciare sbaffi sul foglio o fare le orecchie al suo quaderno.

Lo Strapaese alligna dove la sistemazione presso le mura di esigue e poco più che ordinarie aree di parcheggio, corredate da filari stentati di alberelli e qualche cespuglio perplesso di trovarsi lì, viene esaltata come esemplare, contemporanea intuizione nell’ottica del risanamento urbano e dell’architettura sostenibile.

Lo Strapaese è la città dove si è pensato di trasformare ex complessi architettonici ecclesiastici barocchi in mercati al coperto e ora forse, nella migliore delle ipotesi, in sede di uffici dove, è facile pensare sorgeranno tramezzi, soluzioni di continuità agli ambienti originari, mutilazioni delle cubature.

Lo Strapaese è dove si adibiscono a sede di conservatorio musicale palazzi storici che conservano tracce significative di cultura decorativa antiquariale pre-raffaellesca, tralci popolati e fregi consentanei al lessico pinturicchiesco, che più alcun cittadino o turista potrà ammirare se confinati nell’area di una struttura destinata ad attività didattiche e quindi sottratta alla pubblica fruizione. Bene il conservatorio, ma ubicato altrove.

Lo Strapaese è il luogo dove nessun amministratore ha pensato di inserire invece quell’edificio nel circuito di visita, magari con un biglietto unico integrato con la vicina villa rinascimentale circondata da fontane, gruppi scultorei e giardini all’italiana che giustificano tuttora la tappa d’obbligo di un contemporaneo grand tour.

Lo Strapaese è il luogo dove, affermando che «la cultura non è un mazzo di fiori», si digitalizzano in schede multimediali i beni culturali del territorio – operazione buona e giusta – ma si latita nella loro ordinaria manutenzione, reale, fisica, materiale.

Lo Strapaese è il luogo dove sono scomparsi per decenni elementi decorativi delle porte urbiche abbandonati in un parco pubblico ed esposti alle forme del conseguente degrado.

Lo Strapaese è la città dove residenze neo-medievali in forma di castello sono state abbattute e sostituite da orrende palazzine.

Lo Strapaese si afferma dove, sotto gli occhi di tutti e nel silenzio generale, esempi di archeologia industriale primo novecenteschi, già impiegati come mercati generali, sono stati sventrati, alterate le cubature, ridotti a involucri dove s’è edificato ex novo, abbattuti i muri di recinzione, le palazzine attigue scomparse da un giorno all’altro, le aree circostanti ricoperte con colate di asfalto e invase da palazzi multipiano che alterano il profilo del costruito pre-esistente e degli antichi rettifili di collegamento con il contado. E tutta l’operazione viene giustificata come azione di risanamento e apertura di «piccoli esercizi commerciali di prossimità».

Lo Strapaese è il luogo dove si tappezzano piazze plebiscitarie con lastre lapidee di lavorazione contemporanea, simil soggiorno domestico, per pavimentarne il suolo di calpestio e farlo ritornare al presunto aspetto ottocentesco. Come se non esistessero in numerose vie del centro storico esempi risalenti ai secoli trascorsi, anche e soprattutto prima dell’Ottocento, circa le tecniche per eseguire simili interventi.

Lo Strapaese è il luogo dove, dopo aver smembrato le collezioni museali, pensando di poterle decontestualizzare ad libitum, l’improcrastinabile nuova sistemazione del Civico, svuotato a macchia di leopardo, ora deve porre rimedio alla diaspora. Pertanto nel corso dell’anno giubilare, ormai declinante, il museo non poteva che rimanere chiuso!

Lo Strapaese è il territorio dove gli spazi espositivi pubblici vengono assegnati con sistematicità agli stessi allestitori di non-mostre, dove non-curatori, affiancati da un non-critici d’arte insigniscono non-artisti di non-onorificenze, dove gruppi e assembramenti dopolavoristici millantano natura di movimenti, allestiscono collettive popolosissime, diffondono proclami e manifesti paragonati a quelli delle avanguardie storiche.

Lo Strapaese, infine, è il luogo dove si ritiene di poter intonacare a proprio piacimento le facciate dei palazzi antichi destinati sulla carta a diventare poli amministrativi e gestionali, sedi di biblioteche o di archivi come promesso già da tempo alla cittadinanza. Anche in questo caso gli anni trascorrono senza che esiti concreti siano emersi.

Però che bello lo Strapaese! Come è grande, come è allegro, come è vivo lo Strapaese!

Se non ci fosse bisognerebbe rifondarlo giorno dopo giorno.

Con impegno e dedizione costanti.

Ma non è proprio quello che sta già accadendo sotto lo sguardo della comunità civile?

 

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