C’è un’epidemia vigliacca che in Italia continua a mietere vittime, mese dopo mese, anno dopo anno. E non si riesce a trovare un vaccino. Testimoniata dai tanti sorrisi di donne cancellati troppo presto, rimasti a splendere soltanto in fotografia. Mogli, madri, compagne uccise da chi aveva promesso di amarle e di proteggerle. Malgrado gli appelli, malgrado le denunce, malgrado la presenza della legge, che a volte è disattenta e non riesce a tutelare fino in fondo. Marzo è il mese in cui si parla di donne, della lunga strada che resta da percorrere per equipararle realmente agli uomini sul piano sociale, professionale, umano e culturale. «L’otto marzo, quella che viene definita la festa della donna, in realtà è la commemorazione di un massacro di donne». Enzo Palmisciano ha uno sguardo franco e diretto, e un eloquio preciso che tradisce il suo percorso professionale: docente presso l’Università della Tuscia, attualmente tiene un corso di scrittura argomentativa e digitale presso il Dipartimento Disucom. Lo abbiamo voluto incontrare in quanto referente del Centro documentale e di incontro “CampodiMarte – Uomini insieme contro la violenza alle donne”, un progetto di uomini che sono scesi in campo – prima per capire, studiare ed analizzare il fenomeno della violenza di genere – poi per attuare azioni volte a reprimerlo. «Siamo partiti che eravamo una quindicina», racconta Palmisciano. «La metà di noi sono rimasti assidui frequentatori. Siamo tutti di una certa età: qualcuno di noi è già nonno, altri potrebbero diventarlo presto. Questo sicuramente conta. Vorremmo più giovani, ma non riusciamo a mobilitarli. Sono pochi gli uomini che hanno capito che forse, siccome sono gli uomini a consumare violenza nei confronti delle donne, dovrebbero essere gli uomini a cominciare a dire basta. A cambiare atteggiamento e comportamenti. Anche coloro che si presentano normalmente come persone pacifiche, tranquille… si dice sempre “Quello? Mamma mia, brava persona, lavoratore… mi salutava sempre per le scale”. E poi ha ammazzato la moglie. Molti uomini violenti sono professionisti, sono plurilaureati. Non è il grado di cultura che garantisce il rispetto tra le persone. Ma come mai? C’è qualche cosa che non funziona. E allora noi vogliamo cercare di capire cos’è che non funziona». Campodimarte è nato nel 2014, su impulso dell’associazione romana “Maschile Plurale”, i cui componenti si impegnano in riflessioni e pratiche di ridefinizione dell’identità maschile, in relazione positiva con il movimento delle donne. «Ero presente all’assemblea di costituzione. Tornando a Viterbo ho pensato che forse ci fossero anche da noi uomini disposti ad occuparsi del perché gli uomini ricorrono ad atteggiamenti violenti nei confronti delle donne. Ho proposto l’idea a diversi amici che sapevo sensibili, vicini a me culturalmente ed ideologicamente. Finché abbiamo deciso con due associazioni di costituire un gruppo che abbiamo chiamato “CampodiMarte”. A me piace molto questo nome, mi piace scriverlo tutto in un’unica parola, perché evoca il luogo in cui si esercitavano i giovani per diventare soldati, a diventare cittadini di Roma, e quindi a diventare uomini. Il nostro campo di Marte è fare in modo che gli uomini diventino uomini non violenti. Un altro tipo di maschi». Le due associazioni che sostengono il progetto sono “Viterbo con Amore” e “Anteas Viterbo – Associazione Nazionale Tutte le Età Attive per la Solidarietà”, quest’ultima presieduta da Palmisciano. I componenti di CampodiMarte si confrontano e si documentano sulle radici culturali della violenza maschile, e propongono incontri, dibattiti, seminari e convegni in tutto il territorio della Tuscia e anche oltre. «Abbiamo deciso di cominciare ad intervenire nelle scuole… discutiamo con i ragazzi sul perché gli uomini ricorrono a comportamenti violenti nei confronti delle donne. Predisponiamo delle schede che facciamo compilare. Per sei sette scuole abbiamo classificato le risposte. È stato molto interessante, perché sono venuti fuori gli stereotipi. In alcuni casi ancora dicono: le donne devono stare a casa con i bambini. Adesso abbiamo cominciato a lavorare con una scuola elementare e dell’infanzia, con le insegnanti, confrontandoci e chiedendo loro di trasformare in percorsi didattici le cose che ci siamo detti. E vediamo cosa verrà fuori». Nelle scuole si affronta molto il tema del bullismo. «Allora io dico sempre che un intervento su un ragazzo che usa queste forme di prevaricazione può comportare che cambi atteggiamento, ma questo non garantisce che nel momento in cui si trovi a gestire un conflitto con una donna, non si comporterà con violenza. Mentre è vero il contrario: una persona che ha imparato a stabilire una relazione equilibrata con l’altro sesso, sicuramente non ricorrerà a forme di prevaricazione come il bullismo. Significa che la violenza sulle donne è una violenza di grado superiore, che contiene anche l’altra». Qualcuno potrebbe rispondere, sono anche le donne ad ammazzare gli uomini. «Andiamo a vedere le statistiche. Le statistiche dicono che qualche volta le donne ammazzano gli uomini per reazione, per autodifesa. Quasi sempre sono gli uomini ad uccidere le donne, perché… e qui ci sono una serie di spiegazioni da dare. Che stanno secondo me nel fatto che a cambiamenti, a mutazioni di ruoli e di funzioni sociali delle donne, non è corrisposto un adeguamento del punto di vista maschile. Ancora oggi l’uomo raramente accetta che una donna possa scegliere da sola, nel bene e nel male. Continuiamo a lavorare con i ragazzi, anche se vorremmo lavorare di più con gli adulti: a me interessa confrontarmi con quelli dai quaranta in poi. Con loro si può cominciare a discutere su cosa significa un altro modo di vivere la propria vita. Continuo a pretendere che si riconosca che gli uomini, in quanto maschi e pur rimanendo maschi, possono essere maschi in altri modi. E questo è tutto da scoprire, ma si può scoprire solo se ci si lavora sopra. Se ci si confronta, se si parla, se si pensa. Se si educano in un altro modo i figli». Al di là della mascolinità violenta, chiusa e limitante, c’è un mondo nuovo, fatto di libertà e di rispetto reciproco. Le donne stanno lottando da secoli per risvegliare le coscienze, e pagano quotidianamente un tributo di sangue per portare avanti questa battaglia. Adesso sta agli uomini mettersi in discussione, analizzare il loro modo di pensare, di comunicare. E finalmente, risvegliarsi.
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