Tuscia in pillole. La Verità di Viterbo

di Vincenzo Ceniti*

Verità-Della Porta

In questi giorni c’è un motivo in più per entrare nella chiesa di Santa Maria della Verità a Viterbo, dove è in atto il cantiere di restauro, per conto della competente Sovrintendenza, di alcuni affreschi nel transetto della sacrestia i cui colori anneriti dal tempo ne  impedivano la leggibilità. Quelli sulla parete sinistra, definiti da ampi riquadri di ghirlande e colonne, raffigurano San Francesco riceve le stimmate, Dio padre  accoglie in grembo Gesù Crocifisso e il pontefice Fabiano tra San Sebastiano e San Rocco. Fanno parte della scuola di Antonio da Viterbo detto il Pastura (1450 ca.-1516). che si sarebbe messo in proprio nell’affresco del poverello di Assisi decisamente di qualità superiore agli altri. Per alcuni, questo tris di immagini potrebbe essere riferito a un ex voto dopo la peste del 1450 che arrecò molti lutti alla città. Ne farebbero fede le piaghe e i bubboni di cui sono afflitti i vari personaggi. Successivamente si procederà al restauro degli affreschi sulla parete opposta che seppur ingombrati dalla patina del tempo, fanno già intravedere immagini di buona fattura.

Tre sono i passaggi del recupero pittorico – ci spiega il restauratore Roberto Della Porta, formatosi all’Istituto per l’Arte e il Restauro di Palazzo Spinelli di Firenze -. In primis va controllata la stabilità dell’intonaco su cui è distesa la pittura. Quindi si procede ad alcuni saggi di pulizia della superficie pittorica, usando polvere di carbonato di ammonio generalmente sciolta in acqua. Si passa poi alla stuccatura dei fori e delle parti mancanti. Da ultimo, con il massimo rispetto, si mette mano alla reintegrazione pittorica se si tratta di piccoli spazi, togliendo le superfetazioni incoerenti che danno fastidio alla lettura dell’immagine. In caso di mancanze più evidenti si procede a una copertura neutra. In ogni caso i colori usati devono essere di materiale reversibile, resistente al tempo e facilmente rimovibile”.

Non dimentichiamoci che siamo nel luogo dove, dopo i danni della guerra,  ha lavorato Cesare Brandi, uno dei massimi restauratori d’Italia che intervenne con recuperi di altissimo livello in alcune porzioni del ciclo di pitture (con lo Sposalizio della Vergine) nella cappella Mazzatosta che si apre nel muro d’ambito di destra. Gran parte di quegli affreschi venne  ridotta  in mille frammenti dallo spostamento d’aria di un bomba. Chi vuole saperne di più sulla storia del restauro in Italia deve venire a Viterbo nella chiesa di Santa Maria della Verità.  L’autore è Lorenzo da Viterbo che nella seconda metà del Quattrocento provvide al lavoro su commissione di una delle  famiglie più colte dell’entourage romano e viterbese. Si resta sorpresi nell’osservare volti e costumi di una folla di astanti, i cui dettagli sono stati segnalati dal cronista di allora, Nicolò della Tuscia, e dipinti da Lorenzo con ardita attualità.

La chiesa vanta altre sorprese. Nel transetto di destra è collocato un grande organo a trasmissione meccanica finanziato dall’ Ente del Turismo ed eseguito nel 1986, su progetto fonico del maestro Luigi Celeghin (suo il concerto inaugurale del  9 giugno di quell’anno nell’ambito del Festival Barocco), dalla ditta organaria Guido Pinchi di Foligno con la benedizione del card. Edoardo Gagnon allora presidente della Commissione Pontificia per la Famiglia. Rivestito di legno rovere, dispone di tre tastiere e oltre 2700 canne.

Lacerti di affreschi che emergono qua e là su spezzoni di intonaco  lungo le mura, testimoniano di una serie di interventi attraverso i secoli quando  la chiesa accoglieva cappelle ed altari di varie comunità (anche d’oltr’alpe come i Teutonici) e sepolture di cui rimangono ancora tracce evidenti.

La tela settecentesca della Madonna col Bambino sull’altare del transetto destro è attribuita a  Ludovico Mazzanti. E’ presente anche una tela contemporanea di Marco Zappa, La Pietà (2015) in cui è evidente il contrasto fra il volto sereno di Gesù e quello di Maria, deformato dal dolore.

La chiesa, dotata di un buona acustica, di un organo monumentale, di una capiente aula e di vari servizi logistici, ha accolto da alcuni anni concerti di musica sacra e classica, tra cui varie edizioni del Festival Barocco, e gli omaggi annuali alla Vergine nei giorni dell’Addolorata e dell’Immacolata.

Un’ultima annotazione. L’intitolazione a Santa Maria della Verità sarebbe dovuta, secondo la tradizione,  ad un miracolo di alcuni secoli fa quando la Madonna apparve ad alcuni bambini che riferirono il prodigio al vescovo del tempo. Di fronte alle perplessità del prelato, i bambini insistevano dicendo “E’ la Verità, è la Verità”. Va ricordato che la chiesa venne ricostruita nel  Trecento dai Servi di Maria sui resti di una primitiva struttura  annessa a un preesistente convento oggi destinato a Museo Civico e più volte modificata nei secoli successivi.

 

L’autore*

ceniti

Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.

 

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