I Guardiaparco nell’area naturale del Lago di Vico a proteggere con amore la fauna selvatica

Donatella Agostini

“Chi salva una vita, salva il mondo intero”. Che sia quella di un essere umano, o quella di un fiero esemplare di rapace in difficoltà, impallinato dal fucile di un umano dal cuore arido, non è mai meno preziosa e meno degna di essere salvata. Non tutti sanno che tra i fitti boschi della Riserva Naturale del Lago di Vico, una delle zone paesaggistiche più belle e incontaminate del Lazio, c’è una struttura dove ogni giorno alcune persone, con dedizione e amore per il proprio lavoro e per la natura, soccorrono tante vite e rendono concreto questo motto: sono i Guardiaparco del Centro Recupero Animali Selvatici della Regione Lazio, che opera direttamente all’interno della Riserva. I Cras, variamente disseminati nel territorio italiano, sono una sorta di speciali pronto soccorso che accolgono animali selvatici in difficoltà: quello del lago di Vico ha competenza su tutta la Tuscia e parte delle province di Roma, Terni e Grosseto. Incontriamo il responsabile del Centro Giampiero Tirone, guardiaparco e dottore in scienze forestali, che ci racconta l’attività del Cras viterbese e ci accompagna nella visita alla struttura principale, precedentemente utilizzata dall’Aci come auto ostello, e mostrandoci via via i locali annessi. Intorno, la pace e lo splendore della natura di tarda estate, e la ricchezza degli ecosistemi offerti dalla Riserva naturale, vero gioiello della Tuscia: dall’ambiente palustre prossimo al lago, ai noccioleti, ai boschi di castagno e di faggio. Tanta ricchezza vegetale riflette una speculare ricchezza della fauna selvatica: numerose specie di pesci, anfibi, rettili, piccoli e grandi mammiferi come nutrie, volpi, martore e il raro gatto selvatico. Soprattutto una ricchissima avifauna, con rapaci notturni e diurni e uccelli acquatici per i quali la Riserva rappresenta uno dei luoghi di svernamento. «Il nostro Cras è operativo dal 1983. In precedenza aveva sede nelle scuderie di palazzo Farnese a Caprarola, dove ancora gestiamo alcune grandi voliere. Questa struttura è stata prima acquistata dalla Regione, poi modificata e ampliata circa cinque anni fa. Sono stati creati e aggiunti nuovi locali, voliere, box, tunnel di volo, un centro polivalente dove ospitiamo le visite delle scuole; questo è l’ambulatorio, che è dotato di moderne attrezzature», ci illustra Giampiero Tirone, accompagnandoci nella visita. Il Centro si occupa della cura e della riabilitazione della fauna selvatica in pericolo durante tutto l’anno. In caso di ritrovamento di animali in difficoltà, può essere contattato per il soccorso. «Questo è in effetti il periodo con più attività. Abbiamo tantissimi giovani di allocco, civette, gheppi, falchi pellegrini. Vanno alimentati e messi in condizione di tornare liberi». Arrivano tutti insieme, a ondate, e tutti hanno la possibilità di essere soccorsi e curati nel migliore dei modi, affinché possano riprendere la loro esistenza selvatica. Nel Centro trovano ricovero permanente anche animali maltrattati, detenuti o importati illegalmente in Italia e sequestrati dalle autorità, che per legge non possono essere liberati in natura, e animali resi inabili da traumi e da spari che non potrebbero procurarsi il cibo da soli e sopravvivere. Tirone ci mostra intanto una gabbietta che ospita una decina di uccellini piccolissimi. «Come dimensione, andiamo da questi codirossi, trovati in un camino di Canepina, che stiamo imbeccando e cercando di rendere autonomi, a caprioli di 40-50 chili, investiti dalle auto, che vengono ricoverati in appositi box. Le vittime animali di incidenti automobilistici ci arrivano con una certa frequenza perché il numero di esemplari sta aumentando. I caprioli stanno colonizzando la base dei Cimini e questo da un lato è positivo, perché stanno recuperando territorio. Ma questo territorio com’è? Devastato dall’edilizia, dalle recinzioni, dalle strade asfaltate percorse dalle automobili. Non è uno sterminio voluto, ma quando l’uomo modifica il territorio, gli animali non hanno più spazio per vivere». Domandiamo a Tirone a quali altri tipi di pericolo vanno incontro gli animali selvatici. «Sono quasi esclusivamente legati all’uomo. Traumi da sbattimento su vetri, su pale eoliche, da corrente elettrica, animali sparati o presi al laccio, intossicazione per ingerimento cibi contaminati da prodotti chimici. Nei noccioleti di prodotti chimici se ne danno tanti. E capita che un rapace rimanga intossicato per essersi nutrito di un topolino che aveva ingerito, in qualche modo, diserbanti o concimi velenosi. È la catena alimentare, e non ci sono studi che documentino in che misura tali sostanze chimiche arrivino fino alle nostre tavole, ma è logico che purtroppo questo avvenga». Nella Riserva Naturale del Lago di Vico la caccia è vietata, ma diventa libera appena al di là della strada che la delimita. «Una cosa è la caccia, che comunque è attività regolamentata, una cosa è il bracconaggio. Continuano ad arrivare poiane, sparvieri sparati durante tutto l’anno. Non essendo mai stato cacciatore, non riesco ad immaginare cosa si provi a sparare a un essere vivente. Confondere l’apertura alare di una poiana con quella di qualsiasi altro volatile cacciabile è impossibile. Si fa di proposito». Giampiero Tirone ci mostra una grande voliera, dove stazionano piccoli falchetti. «Per tutti i giovani rapaci che arrivano, usiamo una metodologia che si chiama hacking», ci spiega. «Inizialmente, i piccoli vengono nutriti all’interno di strutture chiuse, poi li mettiamo dentro queste grandi voliere. Per alcuni giorni li alimentiamo nel nido, come fosse quello dei loro genitori. I piccoli cominciano a prendere coscienza del loro territorio, e a quel punto gli mettiamo da mangiare in giro nella voliera. Dopo altri venti giorni apriamo questi finestroni e loro se ne vanno, per la loro prima uscita da giovani. Non sanno ancora procurarsi il cibo ovviamente. Imparano per sequenza di errori. Continuiamo a nutrirli finché non imparano finalmente a cacciare, e a quel punto non fanno più ritorno: il nostro compito è terminato». Nel settore tartarughe ne riposano una decina, incidentate o ferite e di origine probabilmente domestica. «Le tartarughe abituate all’uomo si fanno prendere, lasciando all’esterno la testa e le zampe. Se le liberassimo in questo stato sarebbero preda di una cornacchia nel giro di pochissimo tempo. Qui da noi, nel giro di un mese tornano allo stato selvatico, e appena sentono un rumore si richiudono completamente nel loro guscio. Riescono a difendersi». Oltre alla consueta attività, da due anni il Cras ha iniziato anche a tentare la riproduzione in cattività di due specie molto a rischio: il falco lanario, che nel Viterbese si è estinto un paio di anni fa, e l’avvoltoio capovaccaio, di cui sono rimaste soltanto nove coppie in tutta Italia. Un’attività meritoria, che va ad aggiungersi a quella svolta tutti i giorni: mentre ci stiamo congedando infatti al Centro è stata portata una nuova ospite, una piccolissima e tenera civetta. Tirone la prende in consegna delicatamente e comincia a somministrarle le cure del caso. La civetta ci guarda con gli occhioni tondi e spauriti, ma ancora non sa che non ha nessun motivo di avere paura. È arrivata in un luogo in cui si prenderanno cura di lei con tutto l’amore possibile.
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