Un mistero nella Sala Rossa di Palazzo dei Priori

Pietro Boschi

Non sono poche le opere d’arte documentate a Viterbo e di cui, poi, si sarebbe persa ogni traccia. C’è da dire, del resto, che soprattutto dal periodo immediatamente successivo all’indemaniazione dei beni artistici dello Stato Pontificio al secondo dopoguerra, e ancora fino a circa la metà degli anni Cinquanta, dipinti e sculture viterbesi subiscono un vero e proprio viavai dalle sedi d’origine (perlopiù chiese e conventi) alla civica raccolta museale e da questa ad altre chiese cittadine o in centri di restauro: un flusso non sempre perfettamente coordinato che, come ebbe modo di scrivere un grande esperto d’arte quale fu Italo Faldi (1917-2012), «ha sconvolto la connotazione artistica di Viterbo». E come spesso succede quando a muoversi senza un’appropriata strategia di tutela e conservazione è una mole cospicua di beni, ecco che alcuni di essi, più o meno inspiegabilmente, va dispersa. Sull’argomento si potrebbe scrivere persino un libro intero, anche trattando casi riguardanti la sparizione di dipinti d’indubbia importanza storico-artistica. Non solo sparizioni, però. Viterbo è pure città di significativi quanto recenti rinvenimenti come nel caso, per esempio, del ciclo dei Vizi e delle Virtù già in Palazzo Spreca o, ancora, in quello degli affreschi di fine Duecento riscoperti in un vano inutilizzato e abbandonato di Palazzo dei Papi.

In questo Mare Magnum di sparizioni e recuperi si colloca un caso curioso di cui protagonista è un’opera esposta permanentemente nella Sala Rossa di Palazzo dei Priori. Tuttavia, né di riscoperta e né di recupero si può parlare. O forse, almeno in un certo senso, si tratterebbe di entrambe le cose.

Dunque, l’oggetto in questione è innanzitutto un piccolo trittico – una di quelle tavolette portatili destinate alla devozione privata – in cui compare una Madonna col Bambino affiancata da tre figure di santi monaci la cui identità è plausibilmente riconducibile a santa Chiara d’Assisi (scomparto di destra), san Domenico di Guzman (scomparto centrale, il medesimo in cui si stagliano le figure della Madonna e del Bambino) e san Francesco d’Assisi (scomparto di sinistra).  La Madre e il Figlio sono incorniciati da un baldacchino mentre fa da sfondo all’intera scena un paesaggio connotato dall’alternanza di profili rocciosi, profondi scorci pianeggianti e specchi d’acqua. Poi c’è la questione formale. A tale riguardo, le evidenze stilistiche proprie del dipinto rimanderebbero all’arte fiamminga del secondo Quattrocento (verosimilmente, VI-IX decennio del secolo).

Riassumendo: nella Sala Rossa del palazzo comunale di Viterbo è custodito un trittico dipinto nel secondo Quattrocento e riconducibile alla cultura pittorica fiamminga. Da rilevare, inoltre, la collocazione del manufatto sotto una teca di vetro, una di quelle teche che abbondano quasi in ogni museo. Pertanto si sarebbe indotti a ritenere che un oggetto prezioso e delicato arricchisca le collezioni comunali: un piccolo gioiello nordico di cui stranamente non si è mai parlato. E invece no, le cose stanno in tutt’altro modo. Nella sala tradizionalmente adibita a ufficio del sindaco non sta nessun gioiello pittorico quattrocentesco: sotto quella teca, se si aguzza bene la vista, si scorge niente più che un adesivo. In altre parole, qualcuno ha ben pensato di appiccicare sui tre scomparti incernierati la riproduzione digitale di un dipinto antico. Il trucco non è neanche riuscito male, anzi. Bisogna che quel piccolo inganno lo si guardi bene prima di scoprirlo come tale.

Conclusione: nella stanza in cui il primo cittadino di turno svolge le sue mansioni è esposto non un mirabile dipinto, bensì quella che potrebbe definirsi ironicamente una “figurina Panini”, una riproduzione priva di valore e per nulla fragile la quale risulta, tuttavia, coperta da una teca. Un po’ come se si decidesse di mettere in cassaforte un orologio di plastica anziché d’oro. Ce n’è abbastanza per porsi qualche interrogativo, o no?

Per saperne di più sugli spostamenti e, in taluni casi, sulla dispersione di materiale artistico e archeologico durante la lunga vicenda di costituzione del Museo Civico Rossi Danielli, si veda Simonetta Angeli, ‘Il Museo Civico di Viterbo: storia delle raccolte’ in Simona Rinaldi (a cura di), Conoscere per conservare. Percorsi culturali e didattici nella Tuscia, Aracne editrice, Roma, 2008, pp.127-174.

 

Pietro Boschi storico e critico d’arte, laureato in Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali presso l’Università della Tuscia. Svolge attività di consulenza storico-artistica per il Consorzio delle Biblioteche di Viterbo. Insegna discipline storico-artistiche all’ABAV – Accademia di Belle Arti Lorenzo da Viterbo.

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