Spigolature d’estate di Gianluca Braconcini: “Viterbo d’un tempo che fu”…

di Gianluca Braconcini

“Viterbo d’un tempo che fu”… Piazza della Rocca ai primi del Novecento.”…quando oltrepasso la porta Fiorentina è caduta la notte. Distinguo solo ombre nella grande piazza – piuttosto sproporzionata rispetto alla piccola vecchia città – Piazza della Rocca, su cui si affaccia la mia finestra offrendomi un bene raro in Italia: aria e fresco. A destra, la Rocca, una volta palazzo pontificio e oggi caserma, rimane impenetrabile e le rarissime finestre accese non fanno che aumentarne il mistero. Di fronte, la notte fitta, case invisibili senza nemmeno un puntino luminoso quale stella agganciata a un frontone. Ai miei piedi, un disegno di piramide o di patibolo. E’ la fontana del Vignola, una delle splendide fontane di cui è ricca questa città costruita al confine della pianura romana, e che si distingue per il canto dolcissimo dei suoi zampilli dai getti vari e variamente proiettati, un canto che arriva fino all’ottava sopra. Figure danzanti si stagliano sulle case invisibili; arrivano dalla strada di cui sgorgo, a sinistra, la fila di luci e si accalcano intorno ai lampioni che finalmente si accendono. Si apre la Rocca: fra uno scintillio di acciaio e ottone, la banda militare prende posto vicino alla fontana. Ecco che suona facili waltzer e le ombre subito si muovono. Le coppie di ballerini sono solo ragazzi… studenti, apprendisti, tutta la gioventù operaia di Viterbo viene così, ogni sera, al suono della fanfara del reggimento, ad imparare il waltzer. Volteggiano pasticciano: è cominciato il ballo. Dopo aver suonato la banda rientra alla Rocca; il gruppo si disperde placido e silenzioso come si era formato. Il buio avvolge di nuovo la fontana, la cui melodia cullerà ora il mio sonno, facendo molto più rumore dello scalpiccìo dei ballerini muti”… * Questo brano che ho riassunto, è tratto da un racconto di André Maurel, un viaggatore francese che in una sera di agosto del 1911 si trovava a soggiornare a piazza della Rocca. Sul lato destro della cartolina si vede il Palazzo Grandori, realizzato nel 1888 dall’ingegnere Luigi Grandori, padre del noto sacerdote viterbese Don Alceste (parroco della chiesa di San Leonardo). Sorgeva qui nel Duecento la chiesa di San Pietro in Castello, chiusa al culto nella metà del XVI secolo. Il Palazzo inizialmente, fu costruito come albergo, che avrebbe dovuto prosperare grazie alla ferrovia Viterbo – Attigliano. Il progetto purtroppo fallì, l’edificio fu venduto alla locale Cassa di Risparmio ed adibito ad uffici e purtroppo, come altri edifici della città, venne distrutto dai bombardamenti aerei del 1944 e ricostruito nel dopoguerra.

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI