Dopo anni di abbandono, Porta Romana torna all’attenzione dell’opinione pubblica e auspicabilmente delle autorità locali, a seguito dell’articolo apparso su questa testata lo scorso 13 luglio, a firma di chi scrive (https://www.tusciaup.com/le-porte-urbiche-di-viterbo-vecchie-cariatidi-in-disarmo-il-caso-di-porta-roman/340623). Articolo che, per altro, fa seguito a un interesse costante dedicato da TusciaUp alle condizioni conservative dell’accesso pubblico, come evidenziato in precedenti segnalazioni redatte dal direttore editoriale Luciano Costantini (https://www.tusciaup.com/resti-di-porta-romana-abbandonati-da-40-anni-a-pratogiardino/312735). La necessità di un tempestivo intervento risiede, infatti, nella deprecabile destinazione, ormai quarantennale, dei frammenti lapidei decorativi situati in origine nel registro superiore dell’accesso pubblico, ovvero il loro accatastamento nell’area di Prato Giardino.
La Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per la Provincia di Viterbo e per l’Etruria Meridionale, per altro, aveva chiesto da tempo all’Amministrazione Comunale il restauro dei frammenti lapidei, in concomitanza con la realizzazione di un percorso perimetrale e secante l’area del parco che consentirebbe ai cittadini di svolgere agevolmente allenamenti e attività fisica. Progetto già avviato dalla gestione Arena e della quale l’attuale Amministrazione avrebbe dovuto prendersi carico.
L’assessore all’urbanistica Emanuele Aronne e il consigliere comunale Ugo Poggi dichiarano ora la tanto auspicata intenzione di svolgere studi preliminari di carattere storico-artistico per approntare gli opportuni interventi di restauro a Porta Romana e alle antiche pietre abbandonate nel parco.
Lo studio filologico mirato, il ripristino degli intonaci, dell’assemblaggio degli elementi ancora in essere e la definitiva destinazione dei lacerti di età barocca, dovranno costituire le prioritarie azioni finalizzate al recupero. Tali azioni impongono, dunque, una rapida operatività in tal senso per sanare un deplorevole lassismo che ha visto l’ulteriore deterioramento dei manufatti lapidei a tutt’oggi relegati come rifiuti in una discarica. Non sembra ozioso ricordare ancora in questa sede, infatti, che le antiche ornamentazioni coincidevano con il basamento su cui poggiava la statua della patrona, recante l’iscrizione “DIVA ROSA” (e non “viva Rosa”, come di recente è stato dichiarato). Per altro tale iscrizione, sebbene dilavata e quasi del tutto abrasa, è ancora leggibile sul fronte del frammento pertinente. La dedicazione alla santa protettrice di Viterbo, pertanto, costituisce elemento proprio ab origine indicativo circa la dedicazione della porta e, per converso della città, alla sua protezione. Le decorazioni cuspidate constavano anche di obelischi poggianti su sfere che insistevano su basamenti parallelepipedi, secondo una tradizione plastico-architettonica invalsa in età moderna per i prospetti di facciata, chiesastici e laici, e come elementi che dovessero segnalare aree urbane particolarmente rilevanti. L’esempio forse più eclatante in tal senso, tra XVI e XVII secolo, è costituito dagli obelischi posti a Roma in età sistina e da quello collocato in piazza Navona a corredo della berniniana Fontana dei quattro fiumi.
Gli elementi decorativi della porta viterbese sono stati sostituiti da succedanei di fattura tardo novecentesca che tuttora si trovano nella sezione superiore della stessa. A seguito dei lavori attuati ormai tra gli anni Ottanta e i primi Novanta del secolo scorso, infatti, non si è ritenuto opportuno verificare l’opzione di un restauro e ancoraggio non ostativo all’incolumità pubblica che garantisse la conservazione del manufatto architettonico nella sua integrità. Qualora tale opzione, malgrado le tecniche restaurative attuali, non dovesse prospettarsi fattibile sarà cogente destinare i lacerti lapidei a una sistemazione museale adeguata. Non sembra forzata, in tal senso, l’ubicazione all’interno del Museo Civico “Rossi Danielli”, anche allo scopo di ovviare al progressivo salasso operato con lo spostamento di opere cospicue della collezione a suo tempo configurata nell’allestimento di Franco Minissi. Il Civico, e la questione non ancora sanata dell’originario assetto della pinacoteca, dalla quale sono state trasferite con discutibile ratio, numerose opere tra le quali la Pietà e la Flagellazione di Cristo di Sebastiano del Piombo, la Dormitio Virginis di Aurelio Lomi, l’Assunzione della Vergine di Giovan Francesco Romanelli, è altra ferita aperta. È senza dubbio questo, ovvero l’alterazione del nesso di continuità tra le opere e delle opere con il loro contenitore, un tema specifico che necessita dei dovuti approfondimenti tecnici e pertanto sarà oggetto di trattazione in un prossimo articolo.
Per il momento basti solo qualche riflessione. Al vulnus arrecato dalla dispersione dei dipinti a suo tempo esposti nella pinacoteca e ora redistribuiti tra il Museo dei portici e il piano nobile del Palazzo dei Priori, se ne aggiunge un altro. In concomitanza con il corrente anno giubilare, circostanza che dovrebbe indirizzare anche verso Viterbo numeri cospicui di visitatori, secondo un tempismo che sorprende per chirurgica precisione, il Civico è chiuso per lavori ormai dal mese di agosto del 2024. Una laconica comunicazione in tal senso, affissa alla porta d’ingresso, accoglie pellegrini e turisti costretti a rinunciare alla visita. Chi scrive ha dovuto assistere alla delusione di chi avrebbe voluto ammirare il museo ma non l’ha potuto fare, per evidenti lacune sul versante della comunicazione. Sia il sito internet della Provincia di Viterbo, sia quello del Comune, infatti, non danno alcuna indicazione circa la chiusura.
https://comune.viterbo.it/museo-civico-aperto-tutti-i-giorni-della-settimana-dalle-9-alle-19/
A ciò si deve aggiungere, negli stessi siti, anche l’errata segnalazione relativa alla presenza delle opere di Sebastiano del Piombo come se ancora si trovassero nella storica sede di piazza Crispi. Uniformare la comunicazione, eliminando le notizie obsolete e non più attuali, è quanto mai improcrastinabile per evitare di creare forme di disinformazione che vanno a detrimento dell’immagine di Viterbo e conseguentemente della gestione del suo patrimonio artistico. Una città che non riesce a veicolare i corretti contenuti circa la consistenza e l’accessibilità dei propri spazi espositivi non riuscirà ad affrancarsi da un atavico ed esiziale provincialismo. L’approssimazione non paga. Per tali ragioni la candidatura di Viterbo a capitale europea della cultura per il 2033, senza una reale rivoluzione culturale, fa sganasciare per le risate e risuona di una surrealtà difficilmente tollerabile. La tutela e la promozione dei beni culturali non possono più passare soltanto attraverso slogan vuoti di significato, dichiarazioni e taglio di nastri inaugurali se a monte non sussiste una densa sedimentazione di professionalità messa al servizio della cosa pubblica.
Auspico che i lettori, i quali hanno già dimostrato grande interesse per questi temi, continuino ad appassionarsi a tali argomenti perché in proposito non manca materia prima succulenta. Anche le altre porte urbiche, infatti, riservano ulteriori sorprese circa lo stato di incuria e la deficitaria manutenzione ordinaria. Nel prossimo capitolo di questo itinerario dedicato agli accessi cittadini si tratterà di graffiti che deturpano le superfici equiparandoli a muri di periferia e di intonaci deteriorati.























