Viterbo e i quattro castelli: Fanum, Arbanum, Vetulonia, Longula (Favl)

di Luciano Costantini

Il nucleo originario della città di Viterbo era formato da quattro castelli: Fanum, Arbanum, Vetulonia, Longula  (Favl). La città, per secoli, soprattutto dopo la caduta dell’impero romano, continuò a svilupparsi, spesso a danno di centri vicini altrettanto intraprendenti e agguerriti dai quali dovette puntualmente difendersi. Da qui la necessità di dotarsi di una cinta muraria: oltre tre chilometri edificati in periodi successivi. L’ultimo tratto, quello tra Porta Faul e Porta di Valle, fu ultimato nel 1268, a diciassette anni di distanza dal varo degli Statuti o Statuto, in pratica la Carta Costituzionale della città. Una volta ultimata la costruzione delle mura, Viterbo risultava divisa in quattro mega quartieri che prendevano il nome da altrettante porte: San Lorenzo, San Pietro, San Sisto e San Matteo di Sonza. Una toponomastica banale, ma favorita e probabilmente sollecitata dallo sterminato esercito di santi e di beati. Scarsa fantasia, insomma, orientata anche dalla ribadita influenza della Chiesa che, dopo la sconfitta e la morte di Federico di Svevia, aveva azzerato la fazione ghibellina. Il primo quartiere, quello di San Lorenzo, univa le zone della cattedrale, di piazza della Morte e di Pianoscarano. Il secondo, quello di San Pietro, abbracciava piazza del Gesù, Santa Maria Nuova, San Leonardo e San Pellegrino. Il terzo quartiere racchiudeva San Sisto, San Giovanni in Zoccoli, San Giacomo. Il quarto si estendeva dalla contrada di San Marco e San Luca, fino a piazza della Rocca, San Faustino, Santa Maria in Poggio. Una suddivisione in quattro spicchi che poteva ridursi a due in determinate situazioni, dettate da particolari emergenze o necessità contingenti. Ecco allora che il rione di Porta San Sisto veniva affiancato a quello di Porta San Matteo e quello di Porta San Lorenzo a quello di Porta San Pietro. Le porte della città – se ne contano tredici tra quelle ancora praticabili e chiuse – durante il giorno restavano aperte e venivano fermate ermeticamente nottetempo con una o più catene. Tutte comunque erano presidiate, nelle ventiquattro ore, da due guardie giurate e da un portinaio che percepivano uno stipendio, in parte frutto dei “pedaggi” e in parte pagato dal Comune. Non è chiaro se fosse un servizio ambito, quel che è certo è che i “casellanti” del tempo non pagavano tasse ed erano esenti dal servizio militare, ma venivano sostituiti ogni anno. Impiego cioè a tempo determinato. Il portinaio, uno per ogni porta, aveva un compito ben preciso durante la notte: impedire l’entrata e l’uscita “agli uomini di mala fama, ai male intenzionati e ai fraudolenti”. Viterbo era punteggiata da una miriade di torri che stavano a rappresentare emblematicamente il potere delle varie famiglie: potevano essere abbattute allorché il nobile proprietario si fosse macchiato di omicidio o di tradimento nei confronti della città. Comunque dovevano essere mantenute in sicurezza, altrimenti rischiavano di essere demolite per decisione pubblica. Una particolare attenzione l’amministrazione comunale riservava alla cinta muraria se è vero che era severamente vietato, pena il pagamento di multe salate, appoggiare scale o attrezzi alle mura stesse, e persino scavalcarle. I controlli risultavano rigorosi: il Podestà doveva effettuare sopralluoghi non meno di quattro volte all’anno e in caso di danni riscontrati, questi dovevano essere riparati a carico dei proprietari confinanti con la struttura muraria. Gli stessi erano tenuti altresì a provvedere al mantenimento delle “carbonaje”, che altro non erano che fossati di difesa scavati dinanzi alle mura. Per queste trincee, l’amministrazione comunale, aveva fissato anche le dimensioni: larghezza quattro piedi e sei di profondità. Sulla “carbonaja” di Porta Faul andò a schiantarsi  – narrano le cronache del 1243 – l’esercito di Federico II di Svevia e il suo sogno di conquistare Viterbo.

( appuntamento l’11 giugno)

 

Foto: il grande tarocco, il numero 21, che rappresenta il mondo, rivisitato realizzato da Cinzia Chiulli e dedicato alla Città dei Papi, con la scritta Favl.

 

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI