La playlist che ha segnato le nostre estati

Donatella Agostini

Ora che il Ferragosto è passato c’è nell’aria il  profumo di ritorno alla vita di sempre. Presto gli stabilimenti balneari chiuderanno  riapriranno le scuole e rientreremo nella quotidianità . Le città torneranno ad essere brulicanti e trafficate e, come ogni anno, dell’estate resteranno una manciata di ricordi e  l’eco della musica che ci ha accompagnato in questi mesi assolati.  Le canzoni fanno parte di ogni estate della nostra vita, e i loro testi sono uno specchio fedele del modo in cui nel tempo le varie generazioni hanno vissuto questa stagione, tra divertimenti, abbronzatura, tradimenti  e amori fulminei. Riandare con la memoria ai pezzi che hanno caratterizzato le nostre estati equivale a ripensare a come sia cambiato il modo di rapportarsi alle vacanze.

Nel 1963 un cantautore dall’aspetto scontroso e intellettuale, Gino Paoli, cantava un pezzo che sarebbe entrato nel nostro immaginario collettivo come l’essenza stessa dell’estate: “Sapore di sale”. Dedicato all’attrice Stefania Sandrelli, bellezza acerba e provocante del tempo, il testo era diretto e sensuale: sabbia, sale sulla pelle, e “il gusto un po’amaro” della realtà di tutti i giorni che in quel momento era lontana. Nello stesso anno, un giovane Edoardo Vianello impazzava con la sua “Abbronzatissima”: rime semplici come semplici erano il divertimento e i sentimenti, in un’Italia che stava vivendo la rinascita economica.

Passano due decenni, e nell’estate del 1982 Giuni Russo canta “Un’estate al mare”, uno dei pezzi più vacanzieri di sempre, scritto per lei da Franco Battiato. È il trionfo dello “stile balneare”: ombrelloni, bagni al largo e bikini visti dall’originale punto di vista delle “mercenarie del sesso”. Tre anni dopo è la volta dei Righeira con la loro “L’estate sta finendo”: sax e musica elettronica per un pezzo trascinante, che mette l’accento sulla malinconia per la fine delle vacanze e per un altro anno che è passato.

È del 1992 il brano “Mare mare” di Luca Carboni: la spensieratezza dei decenni precedenti comincia a lasciare il posto all’inquietudine, seppure venata di leggerezza, di “sogni da inseguire, per restare a galla e non affondare”.

Da allora sono passati oltre vent’anni e i teen agers sono cambiati, così come è cambiato il modo di rapportarsi e di vivere l’estate e di conseguenza, i testi delle canzoni. Nel 2017, con la sua “Tra le granite e le granate” Francesco Gabbani prende di mira con sarcasmo sorridente gli stereotipi vacanzieri italiani. Sono soprattutto le nuove tecnologie e i social a stravolgere la nostra vita, anche e soprattutto in vacanza:  Facebook, Instagram sono il terreno ideale per raccontare se stessi e cosa si sta facendo. E i testi dei tormentoni del momento rispecchiano fedelmente la fittizia popolarità sui social, dietro cui si cela talvolta una sostanziale solitudine. Ne “L’esercito del selfie” di Takagi e Ketra, l’esercito del titolo è costituito dai vacanzieri che non si staccano dal loro smartphone nemmeno mentre si abbronzano, vanno in crisi se non c’è campo e imperversano sui social con i loro selfie estivi. Ma non per questo hanno più contatti: semmai, un like in più al loro post. E Fabio Rovazzi, nella sua “Volare”, rincara la dose con ironia: “Questa grande convinzione che un mi piace può aiutare”. Thegiornalisti, il gruppo rivelazione dell’estate, non è da meno: “Video di ragazzi persi dentro ad un telefono”. Baby K canta di stordimenti alcolici con le cuffie alle orecchie. Accanto ai sound accattivanti e ai loro ritornelli azzeccati, non si può fare a meno di riflettere sul senso di vuoto e di inquietudine che traspare dai loro testi fintamente disimpegnati. “Beviamoci su che qualcosa qui non funziona”, canta Fabri Fibra. E allora forse viene da pensare che l’estate era più bella e vera quando dalle spiagge “immense ed assolate”, ci si tuffava nel blu con “pinne, fucile ed occhiali”. E gli smartphone esistevano solo nella fantasia degli scrittori. L’estate è chill. Bisogna rallentare e prendersela comoda, procedendo alla velocità più adatta al nostro mood. E un pezzo come “Festival”, di Mac Miller e Little Dragon, detta il ritmo giusto e riequilibra le cose .

 

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