Il sito archeologico dell’Acqua Rossa sommerso dal degrado e dall’inciviltà

di Luciano Costantini

Lo si conosce, ma non si riconosce. Ecco il sito dell’Acqua Rossa, una manciata di chilometri da Viterbo, in prossimità di Ferento, famoso per la sua acqua color ferro ruggine e per il vicinissimo stanziamento etrusco valorizzato negli anni Sessanta e Settanta da re Gustavo Adolfo di Svezia. Non si riconosce semplicemente perché si fa già fatica a rintracciare il sentiero che dalla strada provinciale conduce alla cascatella che scivola dirimpetto a un fatiscente mulino: arbusti di ogni tipo e taglia, rovi, sterpi, fanghiglia che nel tempo si è accumulata sul terreno. A metà del guado un paletto con targa lì posto nel 2013 per l’”Anno Internazionale per la Tutela dell’Acqua, ad opera dell’Amministrazione Provinciale, dei ragazzi della Comunità Terapeutica Ceis di Viterbo, in collaborazione con il Comune di Viterbo”. Una insegna che ha il sapore di uno sberleffo. Impossibile raggiungere l’altra sponda se non si è dotati di stivaloni e un pizzico di coraggio. Tant’è. Bisogna allora accontentarsi delle immagini cinematografiche lasciateci nell’Armata Brancaleone di Monicelli. Uno spettacolo, quello. Del tutto e vergognosamente opposto a quello che oggi si presenta arrivando sul posto. A far da corona e a difesa di quella terra di nessuno, lo scempio prodotto dall’uomo. Cumuli di immondizia di tutti i tipi e di tutte le età. Di tutti i colori e di tutte le fogge. Un frigorifero, un televisore, scarpe, bottiglie, lattine. E poi buste, rigorosamente in plastica. Difficile immaginare il contenuto. Ma, sicuro, conterrà di tutto e di più. Un inno alla inciviltà di molti e all’incuria di altri. Un monumento – si fa per dire – alla conservazione e alla valorizzazione del territorio. Mimetizzati dietro un cespuglio, non meglio identificato, due cartelli (Divieto di scarico…Area video sorvegliata) che evidentemente non sono serviti ad arginare il lerciume che si è accumulato e continua a lievitare. Ad un paio di metri dalla linea della discarica, un pannello, corredato da foto sbiadite, che dovrebbe essere un contributo alla valorizzazione della storia e del patrimonio della collettività. Va riletto nella sua interezza: “Sorgente Acqua Rossa. Il distretto vulcanico vicano-cimino presenta numerose sorgenti termali, che a seconda della temperatura vengono classificate come acque ipetermali (40°-65°), acque termali (30°-40°) e ipotermali (20°-30°). La sorgente di maggior rilievo tra queste ultime è la fonte Acqua Rossa, falda ipotermale (22°-24°) molta ricca di acido carbonico (presente in purezza al 99%) e per questo riconosciuta come carbon coferrugionosa. Il colore dell’acqua della fonte è dovuto all’alta concentrazione di materiale ferroso disciolto in essa: la medesima colorazione rossastra caratterizza anche il torrente che riceve le acque della sorgente e da questa prende il nome; lungo di esso sono presenti i ruderi di un mulino forse riferibile ad età moderna, che utilizzava le acque del fosso in corrispondenza di una cascata. Esalazioni gassose si trovano lungo il Fosso dell’Acqua Rossa, dove attualmente esistono emissioni di idrogeno solforato e anidride carbonica, quest’ultima sfruttata in passato da un impianto industriale”. Chiara la spiegazione? Nulla da aggiungere se non un caldo invito a ridare dignità e protezione al sito anche se l’inciviltà è nemico quasi impossibile da sconfiggere.

 

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI