Tuscia in pillole. Quando Viterbo votava

di Vincenzo Ceniti*

piazza Fontana Grande - comizio di Annibale Salcini

Negli anni Cinquanta e dintorni, i nomi dei candidati alle elezioni politiche, o amministrative, e i simboli dei partiti (scudo crociato, falce e martello, sole nascente, fiamma tricolore, foglia d’edera, stella e corona ecc) venivano spesso dipinti a Viterbo (ma non solo) con calce e pennello senza tanti scrupoli sulle pareti delle case, sull’asfalto, sui tronchi  degli alberi, perfino sulle mura castellane.

Ricordo che nei pressi di porta della Verità ancora si intravedevano fino ad alcuni decenni fa tracce di uno scudo della Democrazia Cristiana disegnato a vernice bianca sui conci della torre. Su un muro dell’istituto San Giuseppe, in viale A. Diaz, è ancora visibile il nome sbiadito di un candidato, tale Caradonna, deputato del Msi dal 1958 al 1964. Un autentico reperto di archeologia elettorale che poche città italiane possono vantare. Per le cronache di allora Giulio Caradonna era un personaggio piuttosto fumino, sorvegliato a vista  dai Carabinieri per le sue intemperanze durante i comizi. Nelle elezioni del 1953 aveva attaccato pubblicamente a Canepina il parroco del paese, don Mariano Belardinelli. A Barbarano Romano si fece sentire per le chiassose interferenze durante il comizio dell’avversario democristiano Ildo Santori.

la scritta “Caradonna” ancora visibile a Viterbo sul muro dell’Istituto San Pietro
Scritta ancora visibile a Viterbo sul muro dell’Istituto San Pietro

Una legge del 1956 cercherà di porre rimedio al dilagare di questi writer ante litteram, proibendo le iscrizioni murali e quelle su fondi stradali, rupi, argini, palizzate e recinzioni. I risultati iniziali non furono incoraggianti, dal momento che occasionali brigate di giovani, prezzolati dai vari partiti continuavano a farlo e incollavano di notte manifesti dappertutto.

Grande impiego anche di volantini che nei giorni di punta coprivano letteralmente le strade e le piazze. Poco usate, come avviene oggi, le immagini dei candidati. Meglio i disegni e le caricature dal linguaggio grafico più immediato elaborati da artisti di vera classe: su tutti Giorgio Forattini. Diffusi i messaggi veicolati da altoparlanti gracchianti, sistemati su auto o variopinti furgoni che attraversavano le vie della città, strillando il nome del candidato, come ci documentano i film di Totò (Vota Antonio) e di Alberto Sordi (Il vigile).

E c’erano soprattutto i comizi. A Viterbo i luoghi deputati restavano piazza delle Erbe e soprattutto piazza del Plebiscito sul cui palco, sistemato generalmente nell’angolo tra la Prefettura e il Comune,  sono saliti in vari anni tutti i big di allora, da De Gasperi ad Almirante, Nenni, Longo, Covelli, La Malfa, Malagodi… Davanti a centinaia di fan e curiosi. Le presentazioni venivano solitamente affidate al  segretario locale del partito che aveva il compito di riscaldare gli animi.

Frequenti le cene elettorali in vari ristoranti del posto con il candidato a capotavola circondato dai suoi sodali. Non erano ancora diffusi i social e i talkshow televisivi e non c’erano le emittenti  private. L’unica trasmissione ufficiale era “Tribuna politica” avviata nel 1960 da Gianni Granzotto. Rari nei commenti politici i riferimenti a cultura, ecologia, turismo e inquinamento.

Il dossier di questi battibecchi è nutrito e colorito. A Ronciglione il democristiano Paolo Bonomi durante un comizio di quegli anni venne coinvolto in una vivace polemica con il missino Renzo Lodoli, vice segretario provinciale del Msi di Roma, sedata dai carabinieri. A Vasanello l’allora ministro delle Difesa Randolfo Pacciardi entrò in chiassosa competizione con due disturbatori che vennero allontanati dalle forze dell’ordine.

Ma ci sono anche annotazioni d’altro tipo che rendevano i comizi spettacolari e da non perdere. A Viterbo, alle comunali del maggio 1956, in un’affollata piazza Fontana Grande, il democristiano Annibale Salcini nella sua storica arringa da un balcone sopra il tabaccaio, prometteva nel 1956 di rimuovere i selci nelle strade per evitare che le donne  inciampassero con i tacchetti a spillo.

Disordini e folclore non solo nei comizi. A Monte Romano il rifiuto del sindaco di concedere la banda comunale per la processione del Venerdì Santo provocò reazioni e proteste da parte dei fedeli che organizzarono un generale fracasso con campanelle, bidoni e latte vuote. La scena ci ricorda i film di don Camillo e Peppone. A Tre Croci ci pensò una suora a mettere in fuga due giovani esuberanti di Vetralla che stavano sistemando un cartellone elettorale sul muro  del convento. A Tarquinia durante un comizio democristiano, tre comunisti issarono un cartello con scritte polemiche. Subito denunciati a piede libero e allontanati dai Carabinieri.

E poi le denunce per brogli elettorali. A Caprarola, secondo la denuncia di alcuni esponenti del Pci, un’anziana degente dell’Ospizio avrebbe votato al posto di un’altra. A Piansano i comunisti fecero una denuncia per la propaganda svolta dal parroco in chiesa durante le funzioni e per l’abuso nel rilascio dei certificati medici per l’accompagnamento dei malati in cabina.

 

Nella cover, comizio di Annibale Salcini in piazza Fontana Grande (foto collezione Silvio Cappelli)

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