Il libro di Luigi Zucchi: ”Un Volo d’Angeli infinito”

di Arnaldo Sassi

Il Volo d’angeli? Una Macchina di Santa Rosa che non morirà mai. Anche se sono trascorsi ben 44 anni dal suo ultimo trasporto e ben 55 dal suo esordio, che avvenne nel 1967, l’anno del famoso fermo.

Un tuffo nel passato che si è materializzato nella sala Regia di palazzo dei Priori, dove è stato presentato il libro di Luigi Zucchi, curato da suo figlio Augusto, “Un Volo d’angeli infinito”, pubblicato dalla casa editrice Ghaleb editore.

Nel volumetto viene rivissuta la storia di Giuseppe Zucchi e del figlio Luigi, i quali furono catapultati in quella straordinaria avventura dal punto di vista artistico, costruttivo e organizzativo che portò alla nascita di una Macchina innovativa e rivoluzionaria, realizzata con i mezzi e le tecnologie disponibili oltre mezzo secolo fa, ma che è ancora nel cuore e nella mente di tutti i viterbesi. Un tuffo nel passato, tra persone, ricordi, luoghi e aneddoti. Ma è anche un’opera che presenta gli eventi più significativi della famiglia Zucchi, a partire dal 1918.

Lo ha ricordato l’autore del libro, che inizia a raccontare la storia della sua famiglia dal 1918, coinvolgendo suo nonno e anche il suo bisnonno. E lo ha sottolineato suo figlio Augusto, curatore del volume, per inquadrare una famiglia unita, che ha sempre collaborato, in un percorso lungo addirittura cinque generazioni. Una unità che ha contribuito a superare le tante difficoltà che si sono via via presentate nel corso degli anni, non ultima quella del fermo. “Proprio quella – ha detto – è stato l’esempio massimo di come si può superare ogni ostacolo se si è uniti”.

Luigi ha raccontato la storia di suo padre Giuseppe, che era palombaro durante la seconda guerra mondiale. A Livorno, nel 1943, mentre si trovava sott’acqua, fu colpito da un bombardamento e fu salvato da qualcuno che a lui rimase sconosciuto. Ma questo episodio lo spinse a rivolgersi a Santa Rosa con un voto che concretizzò molti anni più tardi, proprio col Volo d’Angeli. E poi l’amicizia nata in un campo di concentramento in Algeria con Pietro Del Tavano, fratello di Fortunato. Un’amicizia che si consolidò una volta tornati a Viterbo e che coinvolse anche Luigi, divenuto nel frattempo allievo del grande maestro. Infine, il fortissimo legame con la Macchina, nonostante il fermo. “Ricordo – ha detto – che la sera di Capodanno del ’68 io e l mia famiglia lo festeggiammo nella ex chiesa della Pace, con una bottiglia di spumante. Eravamo noi e gli angeli del Volo a farci compagnia”.

Non potevano mancare all’evento due protagonisti del Trasporto: il presidente del Sodalizio dei Facchini Massimo Mecarini e il presidente emerito Lorenzo Celestini. Entrambi hanno ricordato gli anni gloriosi di quei trasporti. “Nel 1968 ero ancora un bambino e vidi la Macchina a piazza del Teatro. Ebbi come un brivido e fu proprio in quel momento che decisi di diventare Facchino. Ho il rammarico di aver cominciato nel 1979, proprio l’anno in cui fu cambiato il modello, ma ricordo con nostalgia il vocione di Peppe Zucchi e le sue battute, in particolare una: ‘Indietro tutti!’ urlò una volta. E i Facchini: ‘a Pe’, c’è il muro!’. E lui di rimando: ‘Indietro pure il muro!’. Questo era Zucchi, un personaggio ineguagliabile”. Celestini: “Io sono diventato Facchino proprio per volere di Zucchi e per me il Volo d’Angeli è stata la mia prima Macchina. E il primo amore non si scorda mai. All’inizio portavo l’estintore, poi fui messo sotto. Ricordo la sofferenza della famiglia Zucchi dopo il fermo. Perché se la passavano male. Il Comune aveva sospeso il pagamento delle spese e tutto era ricaduto sul costruttore. Ma ricordo anche il coinvolgimento della mia famiglia con quella di Zucchi. Un giorno mio padre aprì il portafogli e disse a Peppe: ‘Quello che c’è lo dividiamo a metà’. Io da Zucchi ho imparato tantissimo e quello che mi ha insegnato mi è poi servito nel corso della mia esperienza da Capofacchino”.

La conclusione è stata affidata ad Antonio Riccio, docente di antropologia. “Incontrai Luigi Zucchi, che non conoscevo quando fui incaricato dal Comune di realizzare la catalogazione scientifica da presentare all’Unesco” ha esordito. “E ho capito sin da subito che il ricordo del Volo d’Angeli è ancora vivo, a distanza di 50 anni, perché rappresentò una vera e propria rivoluzione copernicana nella realizzazione delle Macchina di Santa Rosa. Il libro si legge tutto d’un fiato e io lo considero un monumento discreto, come le pietre d’inciampo messe appositamente per ricordare qualcosa che non deve essere dimenticato. Le Macchine precedenti al Volo erano dei piccoli campanili dove c’erano soprattutto quadri, l’una simile all’altra. La Macchina di Zucchi cambiò completamente stile: una grande bellezza mai vista prima, animata da figure celesti, con una scala di grandezza che riempiva l’intero spazio cittadino. Un nuovo modello estetico tridimensionale, realizzato con materiale povero come la cartapesta, ma con tutte le innovazioni tecnologiche del tempo. Come ha ricordato Luigi fu un ex voto, che sapeva di modernità. Forse troppo moderno. E forse fu proprio questa modernità a provocare il fermo. Ma proprio grazie agli angeli celesti, ma anche terreni (il figlio Luigi, Nello Celestini e pochi altri), che la famiglia Zucchi riuscì a non farsi travolgere e a trasformare quel dramma in un vero e proprio trionfo”.

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