Cos’è la Macchina di Santa Rosa? Un miracolo che si rinnova da secoli

Sara Grassotti

Se chiedi a un bambino che cos’è per lui la Macchina di Santa Rosa risponde: “E’quella macchina senza ruote che cammina con i piedi degli uomini forti”. E’ la definizione precisa, vista dagli occhi attenti di un ragazzino.
Se chiedi al suo ultimo ideatore Raffaele Ascenzi, pure facchino, che cos’è per lui la Macchina di Santa Rosa, risponde che ha chiamato sua figlia Rosa e che la “girata” della Macchina a piazza del Plebiscito quest’anno sarà dedicata a sua sorella Nicoletta e ai facchini che non ci sono più. La Macchina è un concentrato di emozioni che narrano passione, appartenenza, forza, condivisione. Nel caso di Ascenzi anche di un dolore privato tanto forte e recente.
Se chiedete a uno dei facchini che cosa significa portare la Macchina di Santa Rosa, risponde: orgoglio quasi patriottico, sentimento, caratteristiche che li rendono insieme protagonisti di un tributo di fede e tradizione che si rinnova ogni anno a Viterbo.

La Macchina di Santa Rosa per molti è la viterbesità che ne delimita il confine di festa provinciale. Ma il riconoscimento Unesco le ha restituito il valore di una storia che è diventata universale.
La Macchina di Santa Rosa rappresenta una delle principali tradizioni del panorama popolare italiano, che ogni anno il 3 settembre coinvolge migliaia di persone spettatori indistinti in un’unica e globale celebrazione che ha tutti i contenuti di una grande manifestazione culturale da preservare, tutelare e valorizzare al pari delle altrettanto preziose testimonianze materiali legate alla storia della piccola santa, le cui origini antichissime risalgono al 4 settembre del 1258, quando papa Alessandro IV (1254-1261) dà il suo consenso al trasferimento del corpo della vergine Rosa, morta di fame e proclamata santa a furor di popolo, dalla Chiesa di Santa Maria del Poggio (ora Crocetta) a quella di San Damiano (ora Santa Rosa). E in memoria di questo avvenimento, alle ore 21.00 del 3 settembre, Viterbo viene completamente oscurata e la macchina inizia a muoversi da piazza San Sisto-Porta Romana, dopo che gli oltre 100 facchini addetti al trasporto si sono posizionati nell’ordine stabilito e nel silenzio generale attendono di effettuare la mossa, in seguito all’ultimo ordine del capofacchino: ‘Per Santa Rosa, avanti’. Viterbo allora si oscura. E’ buio. Si spegne l’illuminazione pubblica e quella di ogni casa, palazzo, negozio. Una sola grande luce passa per la città, è la Macchina di Santa Rosa. Un’immensa prova di forza impegna 100 facchini, che avanzano in un tratto lungo un chilometro e mezzo sino all’ultimo quello in salita, fatto quasi di corsa, sono quei metri che li portano verso la Basilica, dove il corpo della giovane Rosa dimora in un’urna dorata, custodita amorevolmente dalle suore francescane alcantarine.

E se proprio lì, chiedi a uno dei familiari di quegli uomini forti, in attesa sulle gradinate della Basilica di recuperare il proprio caro che cos’è la Macchina, risponde: “Semo tutti d’un sentimento”, quella frase divenuta virale che contamina anche il visitatore che per la prima volta assiste a questo spettacolo unico che si ripete a Viterbo ogni anno la sera del 3 settembre in una notte speciale, sicuramente una di quelle che non si dimenticano.

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