Cibo e quarantena: una convivenza forzata, rischiosa anche per l’anima

di Rosaria Benini

Il cibo è da sempre una costante nelle nostre vite, nei momenti sereni, come in quelli bui: è sopravvivenza, gola, ma soprattutto cultura, per noi italiani.
Ed è anche la costante di questa pandemia; abbiamo assistito a Challenge culinarie, alle pizzate del sabato sera rigorosamente in casa e postate sui social, a giovani cuochi improvvisati che si sono cimentati nelle ricette trasmesse dai nonni, ai pani che lievitano e al lievito madre che cresce lentamente nei barattoli di vetro di molti italiani.
C’è chi il cibo lo ha in abbondanza e spesso lo spreca gettandolo ancora integro in una pattumiera, c’è chi non ne hai mai avuto abbastanza e lo va a racimolare proprio all’interno di un sacco nero.

C’è chi di cibo ne abusa e chi lo evita calcolando ogni minima caloria ingerita.
In questi periodi di quarantena, il cibo e la casa hanno in comune un fenomeno di cui si parla sempre troppo poco, e che non va sottovalutato. Quello dei disturbi alimentari.

Nel 2008 avevo 15 anni; fu allora che mi ritrovai a fare i conti con una di queste patologie. Cominciò tutto in maniera molto banale, dai commenti di un ragazzino sul mio peso corporeo. All’epoca ero nel pieno del mio sviluppo e avevo poco più che qualche chilo di troppo; amavo mangiare, anzi ero di ‘bocca buona’ come si direbbe dalle mie parti.
Iniziai a nutrirmi sempre di meno e in poco più di qualche mese smisi completamente di mangiare; la casa, la mia stanza, erano diventati un nascondiglio perfetto.
In un anno persi una ventina di chili; all’inizio pensarono tutti che dipendesse dallo sviluppo e da un metabolismo super veloce. Il cibo lo nascondevo, lo gettavo, lo maltrattavo insomma.
A scuola i miei compagni di classe cominciarono a rendersi conto che ero cambiata. Non solo fisicamente, ma soprattutto nell’animo; avevo perso quell’allegria e quel sorriso che fin da piccina mi avevano contraddistinto. Poi se ne accorsero anche i miei genitori e infine il mio fidanzato dell’epoca; fu la fine, uscii allo scoperto causando non pochi dolori.
Ci vollero 2 anni dall’inizio della malattia prima che decidessi coscientemente di sottopormi ad un percorso di psicoterapia e altri 2 per uscirne completamente. Fu una esperienza stressante, pesante.
Ma ne uscii, trionfante; il mio corpo era cambiato si, aveva sofferto ed era debilitato, ma ero cambiata anche io.
Ero più forte di prima e da lì a poco avrei cominciato ad amarmi e ad amare nuovamente il cibo. Ora posso parlarne con serenità. Mi stettero accanto tutte le persone care, genitori in primis, zii, cugini e amici – che furono una vera medicina.
Ho rimosso molto di quel periodo, ma ho sviluppato una sorta di sesto senso e sensibilità nei confronti di questo tema; mi capita spesso di riconoscere giovani donne, ma anche uomini, che stanno soffrendo di disturbi alimentari. E penso che parlarne possa aiutare tanti, non solo chi ne soffre, ma anche chi vorrebbe aiutare un’amica o una figlia malata.

Credo sia utile raccontare questa storia ora, perché l’isolamento è una delle condizioni di cui si alimenta questo disagio, e in questi giorni di quarantena il pericolo può aumentare.

Anoressia e Bulimia sono dei mostri, mostri maledetti; si nascondono perfettamente all’interno dei corpi – che nel frattempo si trasformano – e anche all’interno delle mura domestiche, tanto quanto le violenze sulle donne e i bambini, ed agiscono nel silenzio più totale.
Mostri maledetti perché sono difficili da gestire e comprendere. Non sono solo sintomo di un’ossessione per il proprio corpo e di conseguenza per il cibo; spesso nascondono disagi psicologici che la persona ha difficoltà ad affrontare, o semplicemente non trova gli strumenti adeguati per farlo. Delle volte possono causare o andare di pari passo con depressione e stati d’ansia.

Queste patologie riguardano soprattutto donne, ma negli ultimi decenni hanno iniziato ad interessare anche la popolazione maschile, per un 5-10 %. La fascia d’età più coinvolta è quella adolescenziale. Causa dell’evolversi di questi disturbi negli anni, sono stati e continuano ad essere anche i modelli imposti dall’alta moda, che come tutti sappiamo ci mostrano donne – ma anche uomini – esili e sottopeso, più simili a dei manichini che a corpi in salute. Risale solo al 2017 una delle prime leggi contro l’anoressia nel campo della moda, varata in Francia dal governo dell’ex presidente Hollande.
Anche i social network, specie Instagram, hanno favorito negli ultimi anni la condivisione di ideali stereotipatati di bellezza.

Questi mostri – come li chiamo io – possono mettere a repentaglio la stabilità emotiva e psicologica dell’individuo, la sua capacità produttiva e lavorativa, come anche le sue capacità relazionali. Chi soffre di anoressia o bulimia, evita situazioni di convivialità, cene tra amici, compleanni e sviluppa invece una vera e propria ossessione per il cibo e per la percezione che si è fatto del proprio corpo, che nella maggior parte dei casi non rispecchia le vere fattezze dello stesso.

È molto importante non abbandonare le persone che soffrono di queste patologie, nel momento del picco della malattia; anche se queste tenderanno ad opporre resistenza e a rinnegare.
Un occhio un po’ attento, magari quello di un familiare, però può riconoscerne i sintomi nel paziente; sul sito del Ministero della Salute potete trovare alcuni dei sintomi più frequenti in anoressici e bulimici.

Affrontare e superare questi disturbi, è possibile e sono migliaia i casi di vittoria in tutto il mondo. La psicoterapia e l’amore dei parenti sono d’aiuto; ma lo è ancor di più l’amore e l’accettazione di se stessi, se si vuole uscire dal tunnel dei disturbi alimentari.

Perché alla fine c’è sempre felicità, e un sorriso ancora più potente di prima, in fondo a qualsiasi tunnel.

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI