Con una ricerca dettagliata per quanto puntuale sulla Valle di Faul parte un breve ancorché interessante percorso su alcuni luoghi, vie, piazze del centro storico di Viterbo, ci siamo rifatti al titolo di una testata degli anni ’80. “Dietro una via”. Lavoro messo gentilmente a disposizione della nostra testata dallo storico Noris Angeli, il “cantore della Tuscia”. Lavoro assolutamente prezioso perché solo la memoria può far nascere e/o alimentare l’amore per il territorio e la sua storia. Non è possibile amare qualcosa o qualcuno che non si conosca o non si ricordi. Sotto tutte le latitudini. A Noris un ringraziamento particolare. Si parte dalla Valle di Faul che nei secoli è stato il sito probabilmente più significativo della città, segnando gli avvenimenti più importanti della sua esistenza: dalla bellezza naturale e incontaminata dell’epoca etrusca e poi romana a teatro della battaglia tra l’imperatore Federico II di Svevia e l’esercito viterbese assediato e rinvigorito dalla santa pulzella Rosa, da luogo di esecuzioni capitali a campo di Marte per soldatesche le più varie, da discarica per macerie del secondo conflitto mondiale a mattatoio, ora trasformato in centro culturale della Fondazione Carivit, da sede di importanti concerie a distributore di gas. Infine palco d’onore, in occasione della visita pastorale di Giovanni Paolo II, quaranta anni or sono. Oggi ospita un discusso e discutibile parcheggio, due ascensori che funzionano a giorni alterni e una chiesa, quella di Santa Maria Maddalena, che sta lentamente ma progressivamente rovinando. La Valle di Faul meriterebbe un presente e un futuro più dignitoso, se non altro nel rispetto del proprio passato. (L.C.)
Via Faul
Da via Valle Piatta a via del Pilastro.
Già sotto questo titolo come risulta dai Catasti urbani del 1818 e 1875.
Nel 1243 Lanzillotto, nella sua Cronaca, menziona quel loco dal castello di San Lorenzo alle mura della porta di Bove che ora si chiama a piè di Fabule sino a Santo Chimento (Ciampi, p.23). In altro documento del 1283 viene menzionata la contrata Favulis sive S.M. de ginestra (G.Signorelli, Chiese, conventi, c.107). La valle è attraversata dal torrente Urcionio, ora coperto, il cui corso destava un fascino particolare per essere delimitato da una lunga teoria di verdi pioppi le cui foglie, dopo una pioggia, rilucevano al sole come smeraldi. Ricordata in documenti archivisti come Vallis Fabulis divenuta in seguito FAUL, acronimo composto dalle iniziali dei castelli che formavano l’antica tetrapoli: Fanum, Arbanum, Vetulonia, e Longola. Denominata pure Valle Canneta (anno 1662, Salendi, notaio) per la crescita spontanea di canne in specie nella zona prossima alla chiesa di Santa Maddalena. Nell’agosto 1428 una certa Margherita da Grosseto, esperta in fatture e malocchi, dopo essere stata condotta con le mani legate per i luoghi della città, veniva qui portata per essere arsa viva, per avere accondisceso al rapporto carnale tra la figlia Petruccia, allora dodicenne, e Nicola Picca priore della chiesa di San Martino, rimanendone incinta (Galeotti). Nel 1541 la nostra Comunità deliberava lo scarico dell’arco sulla strada di Faul appoggiato alla chiesa di Santa Maria Maddalena (Signorelli, Chiese, conventi, c.173). In un atto del 29 novembre 1583 viene ricordato il molino a grano e a olio a Valle Canneta (Vanni, notaio). In altro rogito del 30 dicembre 1593 Vincenzo Cocchi, uno degli ufficiali dell’Ospedale Grande, vendeva a Tarquinio Ligustri, pittore, e per lui al fratello Vincenzo, un piccolo terreno in contrada Fabule a confine con il molino Chigi (Vinci, notaio). Nel Seicento la sua spianata fungeva da campo di esercitazione per la milizia locale comandata di solito dagli esponenti delle primarie famiglie. Il notaio e storico Domenico Bianchi nella sua opera del 1611 scrive in proposito che allora il piano aveva più faccia di campagna che di piazza serve oggi per esercizio de’ giovani per giuocare al maglio e de’ servitori a correr cavalli, de’ cavallerizzi a domar cavalli, a far giostre, a far mostre e rassegne generalissime di battaglia, a far castelli, giuochi e feste pubbliche per comune allegrezza di tutta la città (Bianchi, Istoria di Viterbo, pp.158-159). In un documento del 26 gennaio 1641 si cita un orto con rimessa di castrati e grotta sottostante il poggio della Trinità (Instrumenta, 1641), la stessa che il 7 settembre 1686 risultava nella proprietà di Marco Antonio, Salvatore e Settimio fratelli Calabresi, denominata grotta del Sole, dove si rimettevano castrati, agnelli e capre (G. Begagli, notaio). Questo toponimo è ancora presente anche se il sito, come la stessa vallata, ha subito una radicale trasformazione. Il 20 marzo 1695 le religiose del monastero di Santa Rosa venivano a conoscenza della vendita dei diritti utili di un loro orto ad uso di filatoro posto in contrada Fabulis, cospetto del fontanile, già concesso nel 1643 ai figli ed eredi del fu Giovan Giacomo Bonifazi (Instrumenta, 1695, A.D.V). Il 12 giugno 1749 ventiquattro buoi da lavoro e venti giovenche, fatte sequestrate a Giovan Francesco Rossini di Blera per un debito che aveva contratto con i fratelli Lorenzo e Pietro Paolo Polidori di Viterbo, venivano condotti dalli esecutori nella rimessa di Faule solito carcere del bestiame di questa città (G.A De Romanis, notaio). Nel 1843 l’area sottoposta a via San Clemente veniva prescelta per la costruzione del nuovo Mattatoio Comunale, secondo il progetto dell’architetto viterbese Pietro Mascini, rimanendovi fino al 1985. Nel1873 la società inglese The Viterbo Gas Company otteneva dal Comune l’autorizzazione di realizzare un’officina per la produzione di gas. L’impianto, inaugurato nel maggio 1874, venne costruito nell’area antistante il mattatoio, a ridosso delle mura castellane. Dismesso nel 1974 per l’evoluzione tecnica del settore, i suoi ambienti, come quelli del mattatoio, recentemente recuperati, hanno cambiato destinazione d’uso (Galeotti). La zona della valle che fronteggia la chiesa di Santa Maddalena e si estende dal tratto sottostante il vecchio Ospedale Grande fino a porta Faul nel 1251 era detta Piano del Filello (Buzzi, 1993, p.287). Di fianco alla suddetta chiesa fin dalla metà del Quattrocento funzionavano alcuni opifici di conceria l’ultimo dei quali cesserà il proprio esercizio intorno alla metà del Novecento. Nel 1860 uno di questi stabilimenti, posto all’ingresso del vicolo del Fossitello, apparteneva alla Confraternita di Santa Maria Maddalena ed era nella gestione di Giustino Petri (F. Guerra, notaio). Nel 1876 lo stesso stradello era denominato vicolo Conciafosso.
Foto dall’archivio di Mauro Galeotti

























