Viterbo, 150 anni dalla Stato Pontificio al Regno d’Italia

di Luciano Costantini

Una distrazione? Sarebbe grave. Una dimenticanza? Sarebbe imperdonabile. Il centocinquantesimo anniversario del passaggio di Viterbo dallo Stato Pontificio al Regno d’Italia viene salutato nel silenzio più assordante. Eppure quel 12 settembre del 1870 rappresenta un giorno rilevante per questa città, un momento che dovrebbe disegnare un tratto della sua identità storica, prima ancora che del suo blasone. E pensare che il maledetto Covid, che ha svuotato e stravolto il Settembre 2020, fin quasi a cancellare dalle piazze e dalle strade – ma non dai cuori – santa Rosa, aveva regalato alle pubbliche istituzioni l’irripetibile occasione di poter commemorare un evento che ha cambiato i connotati fisici e poi sociali della città. Ricordare in sobrietà quel che accadde un secolo e mezzo fa non sarebbe costato il pur minimo spreco di risorse: solo un pizzico di fantasia e di impegno che avrebbero contribuito a offrire più sostanza al “Settembre viterbese”. Invece, mascherine alla bocca e fin sopra alla fronte. Proviamo noi, molto modestamente, a rammentare ciò che accadde quel lontano settembre, attingendo a un paio di articoli del professor, Sandro Vismara, apparsi sul Messaggero nel 1970. L’anno del centenario. Il corpo di spedizione italiano, guidato dal generale Raffaele Cadorna, padre di Luigi che sarà capo di Stato Maggiore del Regio Esercito nella prima guerra mondiale, penetrò nel viterbese in tre punti: sulla strada Orvieto-Bagnoregio, a Orte e a Borghetto presso Civita Castellana. I primi passi in territorio pontificio li fece proprio Cadorna, mentre da Orvieto muoveva il famoso Nino Bixio, il quasi mitico generale di Garibaldi. Ma ad entrare per primi a Viterbo, fulmineamente abbandonata dagli zuavi di Francois-Athanase de Charette, furono i lancieri del generale Emilio Ferrero. Erano le due del pomeriggio del 12 settembre. La campagna militare nella Tuscia durò appena tre giorni. “La resistenza era stata simbolica o addirittura inesistente”. A Civita Castellana avvenne la scarcerazione del famoso bandito “cortese” Gasparone che languiva in ceppi da 45 anni. La “liberazione” di Viterbo e della Tuscia era stata preceduta da moti, più o meno rivoluzionari, che avevano visto protagonisti tanti viterbesi: umili eroi, ma anche rampolli di famiglie benestanti. Riportiamo alcuni passaggi  in stretto dialetto locale di Carlo Antonio Morini, “falegname con bottega in via Saffi”. “Il 12 settembre a ore 1 lungo il mezzogiorno andiedero via (gli zuavi; n.d.r.) da Viterbo con due pezze di cannoni per paura della truppa italiana del re Vittorio Manuelle. Verso li tre dopo il mezzogiorno, o prima, venne la truppa italiana a Viterbo…In tutti, fanteria e cavalleria, n. 1.000 circa, n.14 pezze di cannoni e cariegge. Quelle puochi di zuavi che non fecero in tempo andare via da Viterbo furono pigliate prigioniere dalla truppa italiana e così li carabiniere (pontifici) delle paesette”. Il giorno successivo, continua il racconto del Morini “venne altra truppa italiana in Viterbo con circa n.2.000 soldate e altre n.6 pezze di cannoni e cariaggi venute dalla parte di Orte…al dì 16 settembre 1870 a mezzo giorno atacorno l’arme di re Vittori Manuele al guerno (palazzo della Prefettura) con il concerto di banda italiana e viterbese, concerto e bandiere italiane..a dì 20 settembre la sera verzo la vemaria della sera sonò il campanoni di Viterbo per la prese di avere pigliato Roma la truppa italiana de re Vittorio Manuelle. In Viterbo feste di bandiere italiane, lume alle finestre della città e concerto di banda italiana….a dì 2 ottobre di domenica a Viterbo vi fu la votazione a favore del re Vittorio Manuelle del popolo di Viterbo e gran bandiere che giravano in Viterbo e concerte di banda n.3”. Il racconto del nostro falegname/cronista si conclude il 24 dicembre 1870, alla vigilia di Natale, quando “fu fatto sindico, o sia gonfaloniere, Angelo Mangani vitorbese”.

L’Autore:

Luciano Costantini nato a Fabrica di Roma, vive a Viterbo, sposato, una figlia e un nipotino è stato vice-capo servizio all’Economico de Il Messaggero, scrittore, oggi direttore di questa testata è un  appassionato della storia viterbese e soprattutto un amante della Tuscia sua terra di appartenenza di cui non trascura ogni minimo dettaglio.

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI