Tuscia in pillole. Girandoloni

di Vincenzo Ceniti*

pellegrinaggio

Il Giubileo della “Speranza, s’avvia alla conclusione con un pieno di pellegrini impressionante. Alla fine, saranno oltre 30 milioni. In buona parte fedeli, in parte turisti e molti di passaggio, animati tutti dalla voglia di un self davanti alla porta santa con didascalia “io c’ero”. Con fare ironico Gioachino Belli (sagace poeta dialettale romanesco) – testimone di due Giubilei, quello del 1825 con soli 350 mila pellegrini e quello “straordinario” ben più modesto del 1832 –  li chiamava “Girandoloni” , gente di fede e di  avventura con sani impulsi al viaggio, primi esemplari di turisti moderni.

Sono trascorsi 75 anni dal primo Anno Santo post guerra del 1950 che in fatto di “Speranza” aveva tanto da spartire con quello di oggi,  anche se venne titolato “L’anno del grande ritorno e del grande perdono”. Solo che allora la voglia di Cristo doveva fare i conti con la necessità di riprendere a vivere, conoscere, fare pace con tutti,  godere della libertà e delle bellezze di Roma. I problemi di papa Pacelli Pio XII  (peraltro oriundo viterbese con gli antenati originari di Onano) erano piuttosto  complessi, in quanto aveva di fronte  la ricostruzione delle anime, i poveri, i comunisti e una Chiesa in odore di rinnovamento.

Viterbo si preparò all’evento giubilare con la “Peregrinatio Mariae” voluta nel 1949 dal  vescovo di allora Adelchi Albanesi, che portò tra le parrocchie della diocesi la tegola miracolosa della Madonna della Quercia. L’immagine entrò anche nel carcere di Santa Maria in Gradi dove a quel tempo era recluso Arnaldo Graziosi accusato di uno dei primi femminicidi del Novecento: aveva  ucciso la moglie. Il musicista di Frosinone verrà graziato dieci anni dopo nel 1959, dal presidente della Repubblica Giovanni. Gronchi.  In quel 1949 ci fu pure l’idea di montare la Macchina di Santa Rosa di Viterbo (modello Virgilio Papini) in piazza San Pietro a Roma, ma non se ne fece nulla.

La città rinnovò alla meglio il suo parco alberghi, aprendo peraltro un paio di nuove trattorie come Il Bersagliere e qualche bar nelle periferie. La città  era uscita dalla guerra completamente stremata, con il 60% dell’abitato distrutto, comprese le vie ferroviarie e stradali. In quell’anno il viterbese Luigi Malè conquistò il titolo italiano del pesi medi e l’editore Sorbini stampò la nuova guida di Viterbo con notizie utili su hotel, terme, ristoranti, negozi, imprese ecc.

In quell’Anno Santo Pio XII proclamò il dogma dell’Assunzione e canonizzò il 24 giugno Maria Goretti  le cui manifestazioni vennero inserite nei  programmi religiosi.  La violenza di cui fu vittima la “Santa Bambina” (uccisa dopo un tentativo di stupro a soli 12 anni) fu l’occasione per denunciare le prime trasformazioni socio-economiche di quegli anni.

Le immagini del papa che alza le braccia al cielo tra i fedeli di San Lorenzo all’indomani dei tremendi bombardamenti del 1943, erano ancora vive sul suo volto triste e ieratico quando attraversava piazza San Pietro sulla sedia gestatoria tra i fedeli dell’Anno Santo, sostenuta dai Sediari pontifici.

Per molti pellegrini era la prima volta che vedevano Roma e l’imponenza dei suoi monumenti, La basilica di San Pietro invasa da migliaia di fedeli di ogni nazionalità, fu uno spettacolo insolito e memorabile. Molti – si legge in una nota  del tempo – rimasero sorpresi dalle tante bancarelle sparse  nelle vie del centro con souvenirs e mercanzie, primi segnali di un incipiente consumismo.

Pochi i bus turistici, molti i camion dove erano stipati i pellegrini in arrivo dalle regioni limitrofe inquadrati da vescovi e parrocchie. Pochi risto-trattorie, nessuna pizzeria, qualche rosticceria e molti pasti al sacco consumati a bordo di monumenti e scalinate, muniti di  fiaschi e borracce portati da casa e riempiti con l’acqua delle fontanelle. Tutti animati, comunque, da una voglia irresistibile di fare conoscenze, socializzare e fare pace,  dopo gli orrori della guerra. Tante le preghiere di speranza rivolte al cielo.

Dalla Tuscia viterbese partirono migliaia di fedeli alla volta di Roma (alcuni a piedi)  al seguito di parroci e confraternite che gestivano in città opere di bene e di fratellanza.  La preghiera dell’Anno Santo, appositamente predisposta per l’occasione, era tutta Dio, Patria e Famiglia.

Questo l’incipit. “Dio onnipotente ed eterno, con tutta l’anima ti ringraziamo per il gran dono dell’Anno Santo. O padre celeste che tutto vedi, che scruti e reggi i cuori degli uomini, rendili docili in questo tempo di grazia e di salvezza, alla voce del Figlio tuo…”.

Questo il finale “Dà agli infermi la rassegnazione e la salute, ai giovani la forza della fede, alle fanciulle la purezza, ai padri la prosperità e la santità della famiglia, alle madri l’efficacia della loro missione educatrice, agli orfanelli la tutela affettuosa, ai profughi e ai prigionieri la patria, a tutti la tua grazia in preparazione e in pegno dell’eterna felicità del cielo. Così sia”.

 

 

L’autore*

Vincenzo Ceniti

Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.

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