Via Cesare Battisti: L’Enciclopedia Conoscere

Maria Letizia Casciani

Le case della vita di Via Cesare Battisti riportano all’uso dell’Enciclopedia Conoscere. Una enciclopedia italiana a fascicoli per ragazzi, pubblicata dalla casa editrice Fratelli Fabbri dal 1958 al 1963 in 6 edizioni. Una intera generazione ha studiato e fatto ricerche su quel tipo di enciclopedia.Ricordi nostalgici che affiorano nell’era di internet, da un racconto che mette in luce lo stile di vita di un periodo che appare oggi molto lontano.

Credo che ancora oggi – dopo più di cinquanta anni – sarei in grado di citare a memoria pagine e pagine dell’enciclopedia “Conoscere “.

Forse questa parola – conoscere – era già scritta nel mio DNA, oppure è stata la vicinanza costante, fin da bambina, ai libri ed alla cultura che ha fatto di me una persona sempre curiosa rispetto al sapere. Ho comunque passato una buona parte della mia infanzia immersa nella lettura di qualcosa.

I miei genitori – decisamente lungimiranti in questo senso – non buttavano mai soldi in stupidaggini e ci hanno educato ad una vita decisamente spartana.

Nonostante ciò, quando si trattava della nostra educazione, riuscivano a trovare quasi sempre le risorse. Pur non essendo persone istruite, sentivano molto la responsabilità del salto sociale che noi figli avremmo potuto fare.

Pensavano, con ragione, che i libri sarebbero stati utili strumenti in questo cammino.

I libri – in particolare le enciclopedie – si acquistavano a rate, altrimenti si sarebbe trattato di un acquisto del tutto sproporzionato rispetto alla portata delle nostre tasche.

Ogni mese a casa nostra passava il venditore, che incassava i soldi della rata e portava spesso con sé in visione un volume di una nuova opera o un aggiornamento di quelle che avevamo già acquistato.

A volte capitava che i nuovi volumi fossero parecchi e, vedendoli arrivare, non stavo in me dalla gioia.

Adoravo leggere!

La nostra “libreria” era, in realtà, una semplice serie di tavole di legno incassate dal babbo in una rientranza del muro della sala da pranzo. Tutto era stipato lì, anche tutti i nostri libri di scuola, i quaderni e le cartelle.

La nostra casa era davvero molto semplice, le stanze erano arredate in modo approssimativo e poco curato ed erano spesso in disordine.

Cinque persone che vanno e vengono in continuazione, creano uno stato di confusione perenne.

Se si aggiunge a ciò il fatto che la mamma era impegnata tutto il giorno nella ferramenta e che spesso andava a lavorare nell’orto del nonno, si capisce che la cura della casa e l’ordine proprio passassero in secondo piano.

La mamma non aveva mai il tempo di rassettare bene e molte cose erano semplicemente ammassate in giro per casa le une sulle altre; capitava spessissimo di essere costretti a scavare nei mucchi di panni lavati, per cercare un calzino o un paio di mutande puliti.

Mia sorella ben presto fu investita dell’incarico di “mamma in seconda” ed aveva la responsabilità della pulizia delle varie stanze. Non appena fu possibile, poi, anche io cominciai ad aiutarla e questo fece di noi (ma mia sorella lo fu in misura decisamente maggiore di me, perché più grande di me, perché più ubbidiente di me e più dotata di me di senso di responsabilità) delle piccole casalinghe in erba.

In sala da pranzo i ripiani dell’armadio a muro su cui troneggiavano i volumi delle enciclopedie cominciarono piano piano a riempirsi ed io, ogni volta che ne arrivava uno, me ne impadronivo finché non avessi terminato di leggerlo: ero sempre entusiasta di un “nuovo arrivato”.

Se decidevo che era arrivato il momento della lettura, mi estraniavo da tutto il resto e non rispondevo a nessuna chiamata: capitava spesso che mi prendessi delle sgridate o qualche schiaffone, perché non avevo risposto con prontezza ad un ordine della mamma.

Se mi immergevo nella lettura di “Conoscere”, in particolare, tutto il resto era superfluo, persino doveri come apparecchiare o spolverare, o andare a prendere l’acqua fresca alla fontanella.

I volumi di questa enciclopedia erano di un colore rosso vivo, con scritte in oro zecchino: si trattava di libri grandi, ma non pesantissimi, anche se non molto maneggevoli per una bambina come me.

Con fatica, riuscivo comunque a trovare il luogo, il modo e il tempo di sfogliarne uno da cima a fondo, quasi ogni giorno.

Li leggevo, li rileggevo, tornavo a parti già viste, per assaporarle di nuovo.

Non smettevo mai di consultarli.

Li utilizzavo spesso per le ricerche che la maestra ci assegnava, ma, in realtà, erano il mio mondo magico.

Erano riccamente illustrati: la parte iconografica, era di certo più rilevante rispetto al testo e questo rendeva quei volumi irresistibili per la bambina curiosa che ero in quegli anni.

Al loro interno si poteva trovare di tutto: dalla storia alla mitologia, dalla scienza alla geografia. Era possibile leggere riassunti di opere di letteratura, c’erano resoconti dettagliati sulle grandi scoperte della scienza e della geografia.

Soprattutto, ricordo una grande attenzione alla narrazione delle biografie degli individui che avevano inciso profondamente sulla storia dell’umanità, magari per spingere all’emulazione i piccoli lettori, o per instillare modelli positivi nelle loro giovani menti.

Per i miei occhi di bambina erano una miniera inesauribile: trascorrevo gran parte del mio tempo libero a sfogliare avanti e indietro quelle pagine, perché non mi stancavo mai di andare a rileggere le storie che mi avevano appassionato.

Amavo in particolare quelle legate alla mitologia: la mia preferita era una doppia pagina che conteneva le immagini degli dèi dell’Olimpo: le dee indossavano dei pepli elegantissimi, che mi incantavano.

C’erano, poi, le vicende illustrate di moltissimi episodi legati alla storia romana: Cincinnato, Clelia, Muzio Scevola, magari con tratti un po’ romanzati, ma molto avvincenti da leggere.

Mi piaceva sognare, di fronte a quelle avventure incredibili, immaginare che si svolgessero di nuovo davanti ai miei occhi.

C’erano anche molte parti dedicate ai progressi della scienza: le invenzioni, l’esplorazione dei continenti e dello spazio. La biologia, la medicina.

Tutto quello che aveva a che fare con la medicina e le malattie,  mi attirava e mi spaventava allo stesso tempo.

Ero un’ipocondriaca in erba, e dunque, benché impaurita, assorbivo con avidità sintomi e soprattutto prognosi infauste.

Per giorni, poi, dopo quelle letture mediche, ero terrorizzata dall’idea di avere, di volta in volta, la peste bubbonica, la scabbia, qualche forma tumorale.

In casa tutti mi prendevano in giro, per via di queste paure polimorfe: ogni giorno sentivo di essere preda di un morbo diverso.

Soffrivo davvero e pensavo stoicamente: “Vedrete quanto starete male dopo che sarò morta di peste (o di scabbia, di tetano, o di qualche altro tremendo morbo) e non avrete creduto alla malattia grave che mi minacciava!”

Immaginavo i rimorsi ed i pianti di tutta la mia famiglia, in preda ai più atroci sensi di colpa, per non avere dato peso all’ennesimo morbo che pendeva sulla mia testa.

Avevo già in me un grande senso del dramma.

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