Tuscia in pillole. Tavernieri e pellegrini

di Vincenzo Ceniti*

Romei-1982

Il disegno di Alfonso Artioli (già vignettista del Messaggero) che ritrae un taverniere in procinto di accogliere un pellegrino in arrivo a Viterbo è eloquente. La scena, sia pure con  altre ambientazioni e modalità, è sempre di  attualità nella città dei Papi, grazie alla sua posizione sulla consolare  Cassia alle porte di Roma. Non è un caso se la toponomastica cittadina accoglie nomi come via dei Pellegrini e quartiere medioevale di San Pellegrino, evocativi di un turismo  che negli ultimi decenni si è consolidato come antidoto alla mobilità frenetica di oggi.

In vista del giubileo 2025, sarà sempre più frequente imbatterci in questi viators del Duemila che con il loro zaino alle spalle si portano appresso stili di vita,  conoscenze e voglia di dialogo. L’abbigliamento, ancorato nell’immaginario a modelli  medioevali, è cambiato. Al  posto di schiavine, pellegrine, petasi, bisacce e bordoni, ci sono  jeans, felpe, zuccotti, cellulari e bacchette da trekking. Invariato comunque il desiderio di mettersi alla prova e di affrontare il diverso e l’altrove. Col  giubileo, si aggiunge poi, quella sana disposizione cristiana alla ricerca di redenzione e perdono.

Nei tempi andati, l’accoglienza era organizzata da religiosi e confraternite con spirito devozionale, ospitalieri pronti  ad improvvisare medicazioni e spalmare unguenti, tavernieri con e senza scrupoli a garantire un piatto di minestra guarnito da un pagliericcio e occasionali compagnie. Questi particolari veri o verosimili, comunque  affascinanti,  li leggiamo nei racconti e li osserviamo volentieri nei filmati d’epoca, tipo armata Brancaleone.

Se ne raccontano tante. Sul monte Arminio, in contrada Zepponami di Montefiascone, i male intenzionati venivano ammoniti a rigar dritto con l’esibizione di forche appositamente allestite come deterrente e monito a rispettare i pellegrini. Tra loro si sono visti nella Tuscia, attraverso i secoli, numerosi vip. Dante ci ha lasciato preziose terzine dell’Inferno utili alla promozione turistica e Petrarca un accenno alla fresche acque di Capranica.

Nel giubileo del 1450, le monache del monastero di Santa Rosa di Viterbo si adoperarono per incentivare soste davanti  alla sepoltura della santa, che avrebbe elargito grazie e indulgenze  a fronte di generose elargizioni. Alla richiesta dei Priori di versare gli utili nelle casse comunali, la reverenda Madre avrebbe risposto picche, poiché quel ricavato era il frutto del lavoro e della fatica delle sorelle. La santa viterbese dovette comunque impegnarsi non poco, con tutto il Paradiso, nei casi eccezionali di  pestilenze e colera.

Le epidemie (l’abbiamo verificato col Covid), erano una dannazione, bloccavano la mobilità e mettevano  in ginocchio osti e bottegai.  A complicare le cose ci si mettevano poi le  guerre e le carestie che frenavano  afflussi e consumi. Si racconta che in uno dei giubilei quattro-cinquecento  tutti i programmi di accoglienza vennero vanificati da una improvvisa inondazione del Tevere.

Una buona annata fu quella del giubileo 1650 indetto da Innocenzo X, cognato della viterbese Olimpia  Pamphilj, che passa alla storia come il più affollato  degli ultimi decenni. Si parlò addirittura di 700mila arrivi, un record per quei tempi. A Viterbo i pellegrini riempirono le tasche e i letti di tavernieri e taverne sotto la supervisione della  “Pimpaccia”, come Olimpia veniva ironicamente chiamata dalle malelingue. Da raccontare l’arrivo a Roma in quell’anno giubilare di re, principi, duchi, marchesi e  ambasciatori tra cui quello con le insegne di Filippo IV di Spagna che fece notizia per l’imponente seguito di 300 carrozze capace di mandare in tilt il traffico di allora.

Di questo e di altro si parlerà ai “Pomeriggi Touring 2024” che prenderanno il via venerdì 26 gennaio (or 16,30) nella consueta sede della Fondazione Carivit a Viterbo per iniziativa del Touring Club. 

Nella foto, il disegno di Alfonso Artioli (1982) con un pellegrino in arrivo a Viterbo

 

L’autore*

ceniti

Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.

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