Mi va di risalire agli anni Quaranta del secolo scorso per ricordare l’arrivo a Viterbo nell’ultima settimana di agosto delle “fantastiche” giostre”, o come si direbbe oggi del Luna park. La carovana che le trasportava giungeva alla spicciolata provenendo da varie direzioni: dalla Cassia (sia sud che nord), dall’Aurelia o dall’Ortana. Un codazzo di camion, rimorchi, carrozzoni, preceduto dalle auto delle famiglie dei giostrai. A Viterbo e nell’Italia centrale “battevano” soprattutto i Gabrielli, i Carbonini e i Livero.
L’appuntamento era a piazzale Umberto I (oggi piazzale Gramsci), unico spazio disponibile in una città ancora invasa dalle macerie. Il piazzale, allora sterrato, era anche utilizzato dai primi circhi equestri post guerra in arrivo a Viterbo come il Medrano, accanto ai più blasonati Togni e Orfei. Se non ricordo male, un anno venne anche montato il circo Americano addirittura con tre piste. Con la successiva sistemazione di piazzale Martiri d’Ungheria – che venne ricavata utilizzando le macerie dei bombardamenti – il Luna park si spostò al Sacrario, dove poteva agire con più spazio. Siamo già alla fine degli anni Cinquanta.
Noi ragazzi di quegli anni, stavamo le ore ad assistere allo scarico e al montaggio di pedane, strutture, luminarie, facendo paragoni con quelli dell’anno precedente su qualità e quantità. Ci affascinava la vita avventurosa dei giostrai, da una città all’altra, in perenne movimento, a contatto con realtà sempre diverse.
Ci incuriosiva sapere come trascorrevano la giornata nei carrozzoni, il loro modo di lavorare e di parlare. Senza rendercene conto, stava crescendo in noi il germe di una nascente voglia di “altro” che di lì a poco si sarebbe manifestata nelle prime esperienze di turismo in autostop o con la tenda da campeggio. Senza contare il fascino di tutto quell’armamentario così insolito e colorito: i cavalli dondolanti del carosello, le gondole girevoli, le catenelle e le seggiole del calcinculo, le gabbie rotanti con la forza delle braccia, l’ottovolante, le automobilette dell’autoscontro, i dischi volanti, il tunnel dell’orrore, la casa delle streghe, il labirinto degli specchi che deformavano le immagini.
“Ci sono anche le montagne russe”. Lo scoprivamo in corso d’opera, quando gli operai incominciavano a scaricare dal carrozzone le vetture quadriposto. E poi il vascello gigantesco, la ruota panoramica e il trenino-scheggia che correva su un binario unico a misurare i muscoli dei più forti. Il tutto sull’audio di musiche gracchianti e di voci “professionali”, senza cadenze dialettali, che informavano, stimolavano, rimproveravano chi non rispettava le regole.
Sorprendeva l’agilità del controllore dei biglietti dell’autoscontro che danzava da una automobiletta all’altra, saltellando qua e là sui bordi delle vetture ricoperti di gomma, tenendosi in equilibrio con una mano stretta alla canna di ferro collegata in cima alla rete elettrica sovrastante.
Non solo. Anche i chioschi con ragazze belle e disinvolte che invogliavano a tirare col fucile ad aria compressa, o ci mettevano in mano quattro palle di pezza per scaricare una piramide di barattoli vuoti e rumorosi: si vincevano bambolotti, peluche, sacchetti di caramelle, palloni ed altro. Era sorprendente pensare che qualche ora prima quelle stesse ragazze cucinavano, pulivano, pelavano le patate, stiravano o davano la pappa ai loro bambini nei carrozzini, e che poi, in un attimo, si presentavano dietro il banco con il trucco rifatto, pronte al sorriso, davanti a clienti di ogni età. Militari soprattutto.
Il massimo era poter disporre di qualche biglietto omaggio che veniva dato ai questurini, alle “guardie” (oggi i Vigili urbani) e a qualche membro locale del Comitato festeggiamenti. Di solito un cartoncino logoro con scritto, vale una corsa, vale un giro, vale un tiro a segno. Per noi valeva tanto. Tutto finiva con le prime piogge settembrine. Le carovane ripartivano verso altre città. Ma noi già pensavamo all’anno prossimo.
Nella cover un autoscontro d’epoca
L’autore*
Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.

























