“Di fronte alla voce di Ricci, quella degli altri cantanti non è adatta neppure a chiamare un taxi all’uscita del teatro”. Così un critico musicale di Buenos Aires dopo l’esibizione di Fausto Ricci (Viterbo 1892-1964) al Colon nel 1927 al termine di un lungo soggiorno nel sud America. In Italia aveva già incamerato l’ok del vate Arturo Toscanini che sentenziò “Una voce grandiosa”, adatta soprattutto al melodramma verdiano, secondo i fondamentali impartiti dai suoi maestri, su tutti Mattia Battistini.
Da ragazzo la sua voce squillante venne ascoltata occasionalmente a Roma da Francesco Marconi, tenore di inizi Novecento, mentre Fausto Ricci aiutante nell’impresa edile del padre canticchiava durante il lavoro presso un’abitazione. Marconi lo indirizzò al salotto della contessa Giuseppina Vitali-Augusti di Roma che favorì la sua istruzione musicale. Debuttò a 24 anni nel 1916 al Costanzi di Roma nel ruolo di Amonasro dell’Aida.
Al termine della Grande Guerra, venne chiamato alla Scala dove nel 1918 affrontò il Mosè di Rossini, l’Aida e l’Andrea Chenier. Il personaggio ormai c’era, anche perché curava molto la recitazione aiutato dai consigli dei suoi amici attori Ermete Zacconi e Ruggero Ruggeri di cui s’era fatto amico. La sua prima volta a Viterbo fu nel 1919 col Faust di Gounod al teatro Unione. In quello stesso anno debuttava a Viterbo il tenore Giacomo Lauri Volpi nei Puritani.
Grande presenza scenica quindi e, soprattutto, una voce che molti a quel tempo non esiteranno a definire “la più bella del mondo”. Convinti apprezzamenti anche da Mascagni e Serafini. Tornava a Viterbo appena gli impegni glielo consentivano, come nel 1939 quando durante la Forza del destino (nel ruolo di don Carlo Vargas) ricevette da un suo fans l’apprezzamento più gradito, lanciato dal loggione del teatro Unione “Mo’ sentirai che pornelle” (ora sentirai che acuti). Era molto generoso e spesso gli incassi dei concerti nella sua città natale venivano devoluti in beneficenza.
Ricci si esibì nei più grandi teatri italiani ed europei: Scala di Milano, Costanzi di Roma, Regio di Torino, San Carlo di Napoli, Comunale di Bologna, Massimo di Palermo e poi a Vienna, Berlino, Madrid, Londra ed altri. “Chi ha più polvere spari” avrebbe detto a Lina Pagliughi dietro le quinte, prima di entrare in scena. La figlia Gloria (oltre 90 ben portati) ci racconta che durante una Traviata a Berlino, il soprano (una finlandese) cercava di stancarlo obbligandolo a fare molti giri sul palcoscenico: allora nel duetto del secondo atto Ricci sfoderò un tale acuto da sopraffare la malcapitata rivale. Molti successi anche in Argentina (dal 1925 al 1927) dove si esibì in varie opere, tra cui Bohéme, e in un concerto al Colon per festeggiare la trasvolata atlantica di Francesco De Pinedo.
L’etichetta di antifascista gli cadde addosso per caso, in seguito al diverbio con un impresario che voleva imporgli un contratto capestro. Al suo rifiuto, come per vendetta, gli venne attribuito il marchio di nemico del regime. Ricci si rese protagonista nel 1944 di un episodio a dir poco singolare. Era rifugiato con la sua famiglia in una grotta nei pressi di Viterbo. I tedeschi lo scovarono e lui avrebbe detto “Sono il baritono Fausto Ricci ed ho un invito del maresciallo Kesserling per un concerto alle forze armate germaniche di stanza a Roma”. L’ufficiale tedesco non credette a quelle parole ed ordinò la fucilazione immediata. Ricci, vistosi perduto, intonò a gran voce il suo cavallo di battaglia, quel “Nemico della patria” (dall’Andrea Chenier) che proprio in Germania gli aveva creato tanta popolarità, attribuendogli finanche il titolo di “cantante di Dio”. E questo bastò per chiarire l’equivoco.
Ci ha lasciato un volumetto abbastanza prezioso dal titolo emblematico “Come si canta”. Nell’ultima stagione della sua vita organizzò a Viterbo una scuola di canto per indirizzare i giovani allo studio della lirica. “La musica – diceva – è la voce dell’umanità, per l’elevazione e l’affratellamento di tutti i popoli”. Viterbo gli ha dedicato una via e un concorso lirico internazionale che venne istituito nel 2013 dall’associazione “XXI Secolo” con il sostegno di alcune istituzioni pubbliche e private e del Touring Club.
Nel corso di dieci anni il concorso “Premio Fausto Ricci” ha avuto come presidente di giuria nomi prestigiosi tra cui il baritono Alfonso Antoniozzi, i soprano Fiorenza Cossotto, Desirè Rancatore, Luciana Serra, Fiorenza Cedoilins, Raina Kabaivanska e il tenore Josè Carreras. Per l’edizione di quest’anno la giuria è guidata da Giovanna Casolla. Il concorso da alcuni anni accoglie la sezione “Ruolo Opera lirica” con il conseguente allestimento di produzioni come Cavalleria rusticana, Elisir d’amore, Don Pasquale e Pagliacci. Il Comune di Viterbo, l’associazione XXI Secolo e il Touring Club hanno favorito la realizzazione di una targa dedicata a Fausto Ricci che verrà scoperta nel foyer del Teatro Unione di Viterbo, in occasione della finale del concorso di quest’anno, il prossimo 15 ottobre.
L’autore*
Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.


























