La rubrica Tuscia in pillole è diventata un libro in carta e ossa (Edizioni Sette Città) che riunisce una sessantina di racconti-lampo, pubblicati sul quotidiano online Tuscia Up, a cominciare da Armidoro (1884-1939) , il gobbo di Viterbo porta-fortuna, fino alla scultura di Emilio Greco (1913-1995), ispirata all’Adolescente di Vincenzo Cardarelli (1887-1959), sensuale come una Venere di fronte al palazzo Vitelleschi di Tarquinia.
Prosa stringata e sbrigativa per descrivere una folla variopinta, a volte muta, fatta di noi viterbesi, su scenari di avvenimenti e ricordi più o meno sbiaditi, la cui narrazione va ad integrare alcuni passaggi storici meno noti, spesso sconosciuti.
Subito la Caterinaccia (1890-1974) dal volto incartapecorito e ombroso (ne aveva ben donde), povera ed emarginata, ma con una personale dignità e un cuore d’oro soprattutto per il figlio Alfio e il cane “Ravele”, obbediente e fedele fino all’ultimo respiro della sua padrona nel vecchio ospedale di Viterbo. Vendeva le violette. Mai chiesta la carità.
Mi sorprende che Leopold Mozart nel viaggio in Italia (1769-1771), abbia condotto il figlio Amadeus (14 anni) a visitare a Viterbo il santuario di Santa Rosa, di cui aveva inteso parlare. Chissà dove avranno dormito in quella notte piovosa dell’8 aprile 1770 quando giunsero in carrozza nella città dei papi. Nella precedente tappa di Centeno avevano alloggiato alla locanda della Posta.
Eppoi la spesa di buon mattino (anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso) nel mercato di piazza del Gesù tra banchi e banchetti ricolmi di verdure, polli, uova, formaggi, salumi, legumi, pesci, olio di oliva, vini sfusi, porchette, anguille marinate, perfino pedalini e mutande di un giovane e intraprendente Franco Caldarelli, poi conosciuto come Mimmì. Le primizie dell’orto, rigorosamente a chilometro zero, venivano adagiate su barelle di giunchi intrecciati.
Un pensiero di gratitudine per il “Professore”, alias Sandro Vismara, storico corrispondente del Messaggero e della Rai, con cui sono stato a contatto di gomito per molti anni nella mia carriera all’Ente Provinciale per il Turismo di cui era un veterano consigliere. Con lui ho scoperto il significato della parola “tolleranza” e la capacità di sintesi nello scrivere. Tanto è vero che ancora oggi, prima di licenziare un articolo giornalistico, continuo a togliere dieci righe, come mi consigliava lui. A prescindere.
Della porchetta preferisco la crosta “scrocchiarella” e il condimento interiore a base di aglio, finocchio, fegatelli, sale e pepe come sapevano fare i porchettari di Bagnaia. Se l’allora Principe del Galles (oggi re Carlo III) ne rifiutò l’assaggio nel settembre 1991, quando venne a Villa Lante, per assistere alle lezioni di alcuni studenti di Oxford, preferendo i sandwiches di casa reale, avrà avuto la sue buone ragioni. Ma ci è simpatico lo stesso.
Annibale. Ingombrante ma agile, generoso, dal nome impegnativo e una voce squillante che si fece sentire nel 1956 a Viterbo in piazza Fontana Grande in un comizio da candidato alle amministrative per l’allora Democrazia Cristiana. La sua promessa di rattoppare le strade per evitare alle donne di inciampare coi tacchi a spillo è rimasta nell’albo d’oro degli aneddoti locali. Da commerciante, Annibale Salcini è stato tra i primi a introdurre a Viterbo i pantaloni jeans.
Chi si ricorda dei pozzi a vento? Tralicci di ferro (alti perfino una ventina di metri) alla cui sommità girava una ruota gigantesca (fino a 7 metri di diametro) orientabile secondo i venti e collegata ad una pompa che faceva salire l’acqua dai pozzi scavati dai contadini nella piana maremmana tosco-laziale. Alla fine dell’Ottocento erano utili e innovativi per la bonifica di quelle terre paludose e malariche e per la loro coltivazione. Sostenibili, tanto che oggi sono considerati gli antenati delle attuali pale eoliche per la produzione di energia elettrica Ne sono rimasti in pochi nelle campagne della Tuscia viterbese, ma fino agli anni Ottanta del secolo scorso punteggiavano il paesaggio verso la Maremma e il Tirreno, erigendosi a simbolo di una civiltà contadina ormai scomparsa.
Ultima annotazione. Nella copertina del libro, una mano “misteriosa” stringe un mazzo di fiori. E’ la scultura in peperino che sorregge l’arco del profferlo di casa Poscia in via Saffi a Viterbo. Una delle tante “pillole” della Tuscia che non finisce mai di sorprenderci.

Nella foto cover, il mercato di piazza del Gesù a Viterbo
La rubrica “Tuscia in pillole” va in vacanza e verrà ripresa a settembre.
L’autore*
Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.



























