Torre del Casale del Boia tra la Grotta del Cataletto e il Bullicame

di Giovanni Faperdue

La torre del casale del boia
Il mio amico Mario Massera mi ha raccontato che nel Casale del Boia (in strada Bullicame), dove ha vissuto per tanti anni una sua zia, sul pavimento della cucina c’era una botola che nessuno poteva aprire. La zia del mio amico asseriva che da quell’apertura potevano uscire anche “i diavoli”, perché era l’ingresso di un tunnel sotterraneo collegato alla Grotta del Cataletto, che si trova su Strada Signorino, ed è un luogo carico di leggende tenebrose e inquietanti. L’ingresso di questa cavità tufacea fino agli anni 50 era aperto e visibile, ma poi siccome era diventato ricettacolo di ogni sorta di rifiuto urbano, il Comune di Viterbo, provvide a chiuderla con un muro di blocchetti di tufo. Gli anziani di Viterbo raccontano da sempre che alcuni cunicoli che corrono sotto la città e nelle campagne circostanti, collegano la Grotta del Cataletto al Bullicame. Noi abbiamo trovato una conferma di questa teoria in uno scritto dello storico Mario Signorelli che trascriviamo qui di seguito:
“Il canonico Giacomo Bevilacqua che esplorò la Grotta del Cataletto intorno agli anni ‘50, insieme ad alcuni seminaristi, raccontò allo scrittore Signorelli, che dopo un percorso buio e pauroso, durante il quale furono aggrediti da presenze demoniache, alla fine dopo otto ore di cammino, uscirono dalle grotte che stanno davanti all’abitazione del boia. Quando il Signorelli propose al canonico di tornare insieme, Giacomo Bevilacqua diventò bianco come un cencio e si rifiutò. Il canonico morì dopo pochi mesi”. Ecco che in questo brano c’è la conferma del collegamento tra la Grotta e il Bullicame. Incuriosito, qualche anno fa, mi recai personalmente all’interno del Casale del Boia e chiesi all’attuale proprietario di vedere la famosa botola per poterla fotografare. L’uomo, viterbese come me, mi accolse con grande cortesia, e mi informò che prima che lui comperasse il Casale, il pavimento della cucina era stato rifatto completamente, seppellendo la botola. In questo casale abitò il boia Mastro Titta, al secolo Giovanni Battista Bugatti, che operò anche a Roma. A Viterbo i nostri vecchi raccontano che al condannato chiedevano sempre di scegliere il boia: “Vuoi Mastro Titta o il suo assistente?”. In questa domanda c’era un significato sconosciuto ai più, che è anche suggerito dal vecchio adagio “Se devi morì scegli un boia bravo”. Infatti, il boia bravo sa perfettamente come aiutarti a morire presto, sia con il taglio preciso della testa, sia nel tirare i piedi dell’impiccato per rendere breve la sua agonia.
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