Eugenio Scalfari era nato a Civitavecchia il 6 aprile 1924, è considerato uno dei più grandi giornalisti italiani del XX secolo. Contribuì a fondare il settimanale L’Espresso ed è fondatore del quotidiano La Repubblica. Il ricordo del Papa: “Eugenio, amico laico, mi mancherà parlare con te”. Scalfari ha comunque indipendentemente dalle opinioni individuali segnato la storia del giornalismo italiano. Ci piace ricordarlo con questo brano della sua biografia inedita.
“La porta di casa era in fondo al corridoio. La cucina appena entrati sull’altro lato del corridoio. Non c’era riscaldamento. Nella sala da pranzo una porta conduceva attraverso una scala a chiocciola a una soffitta che chiamavamo piccionaia, una sorta di sottotetto che era il mio regno di bambino. Il gabinetto era situato in un vano che occupava metà del balcone. Allora accadeva spesso così. Dentro quel vano c’erano la tazza del water e di fronte un lavandino e un finestrino. Ci lavavamo nella stanza da letto. I miei genitori con una catinella di maiolica su un trespolo di ferro, un versatoio colmo d’acqua e un secchio per l’acqua sporca. Per me c’era una piccola vasca dove mia madre mi lavava con una grossa spugna, una manciata di crusca e sapone di Marsiglia. La casa era molto modesta sebbene i soffitti della stanza da letto e del salotto fossero piacevolmente decorati da affreschi: ceste, corone di fiori assai ben disegnate dal centro delle quali spuntavano volti di putti e di angioletti con piccole ali azzurro-cielo. In quell’alloggio avevano vissuto i miei nonni materni e i loro cinque figli (mia madre era la seconda, gli altri erano due femmine e due maschi). Ma allora la famiglia occupava tutto il piano del palazzo. Poi mio nonno, Francesco Scotti, morì nel 1923; mia zia Maria si sposò e andò a vivere in un’altra casa, mia zia Lidia si sposò anch’essa e si trasferì a Roma dove andarono a vivere anche mia nonna e i suoi due figli maschi. Nella casa restammo soltanto i miei genitori e io. Lì si è formata la parte istintuale del mio carattere, lì la mia memoria cominciò ad accumulare sensazioni e ricordi. Le sere della bella stagione mi affacciavo sul balcone insieme a mia madre. Sul mare aperto si vedevano le luci delle lampare, le barche da pesca che stendevano le reti al largo e pescavano a strascico. Suonavano le sirene dei “postali” e dei rimorchiatori, le luci delle cabine brillavano in alto mare. Mia madre mi indicava le stelle, il Carro dell’Orsa Maggiore, Venere che splendeva accanto alla luna”.
(@la Repubblica – R2 Cultura)
Il nostro saluto a Eugenio Scalfari, morto il 14 luglio all’età di 98 anni
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