Silvio Cappelli: amore per S. Rosa attraverso le sue passeggiate

di Arnaldo Sassi

“Il mio amore per Viterbo? Nasce dalla voglia di conoscenza delle mie radici e della terra in cui sono nato. Amore per la mia città ed amore per la santa che ne è la patrona, cui ho dedicato e dedico tuttora gran parte della mia attività”. Lui è Silvio Cappelli, bancario di professione, nonché sindacalista. Viterbese doc con la passione per tutto quello che riguarda il passato della sua città.

Un’ottima passione, ma anche un bell’impegno…

“Sì, non c’è dubbio Di cose ne ho fatte tante, ma io preferisco essere giudicato per le cose fatte, anche se sbagliate, piuttosto che per non aver fatto niente. E poi, una volta imparato il metodo, la maggior parte delle iniziative vanno a buon fine, anche sulla base delle esperienze precedenti. Mi dedico soprattutto a progetti di livello culturale”.

Un esempio?

“L’ultima fatica è stata il libro ‘Ciliegie e catrame’, dedicato interamente alla valle di Faul, scritto insieme a Barbara Bastianini. Abbiamo scoperto di aver radici comuni in quanto lei aveva il nonno che faceva il custode all’officina del gas, mentre il mio faceva il facocchio, costruiva carri di legno. E così, insieme, abbiamo tentato di ricostruire la storia della valle, che era ed è il cuore pulsante della città”.

E poi?

“Altra cosa che mi ha dato grande soddisfazione il recupero del film ‘Piume al vento’ girato nel 1952 con protagonista un’attrice abruzzese. Si chiamava Olga Gorgoni. Raccontava la storia della prima guerra mondiale ed aveva moltissime riprese fatte nella Viterbo bombardata, girate soprattutto in via Fattungheri e in piazza del Gesù. Poi organizzo ‘Paper only’ una specie di mostra mercato dove si vanno a recuperare cose che altrimenti andrebbero perse”.

E adesso arriviamo a Santa Rosa e alle ormai arcinote passeggiate…

“Sì, l’idea nacque nel 2005 a me e a un altro paio di amici ed è sempre dovuta alla curiosità per la storia viterbese, soprattutto alla ricerca di fatti ed eventi che non sono di pubblico dominio. Così scoprimmo che Rosa fu cacciata da Viterbo il 4 dicembre 1250 dal podestà che era fedele a Federico II di Svevia perché considerata persona indesiderata. Così lei si incamminò verso Soriano nel Cimino e da lì, successivamente, si spostò a Vitorchiano- Tornò a Viterbo poco prima della sua morte, avvenuta il 6 marzo 1251, a 16 anni. Per lei quella cacciata fu quasi una condanna a morte, visto che dalle ricognizioni scientifiche fatte dal professor Capasso sulla salma della ragazza è stato accertato che aveva lo sterno deformato e aveva una respirazione molto difficoltosa”.

Bene. E poi che successe?

“Che, insieme a Laura e Marco Zena, ci mettemmo a studiare sul possibile percorso fatto per raggiungere Soriano. All’epoca non c’erano mica le strade asfaltate. Però riuscimmo a trovarlo e così in pieno inverno – ricordo che era il 5 gennaio 2005 – andammo in tre fino a Soriano, attraversando boschi e campagne. Sedici, diciassette chilometri di passeggiata in mezzo alla natura, con un paesaggio invernale stupendo. Poi individuammo anche quello tra Soriano e Vitorchiano e infine quello tra Vitorchiano e Viterbo”.

E quale fu il passo successivo?

“Quello di organizzare una passeggiata collettiva. Decidemmo di realizzarla a settembre, ma qualche giorno dopo il passaggio della Macchina, per non interferire con i festeggiamenti ufficiali, nella consapevolezza che questa rievocazione era l’unica riguardante la vita di Santa Rosa. Tutte le altre, Macchina compresa, riguardano la sua morte”.

E come andarono le cose?

“Beh, il primo anno aderirono una trentina di persone. Comunque all’inizio la rievocazione si faceva in tre giorni: il sabato (da Viterbo a Soriano), la domenica (da Soriano a Vitorchiano) e il lunedì (da Vitorchiano a Viterbo. Ma era una vera e propria faticaccia. Poi abbiamo deciso di diluire la rievocazione in tre domeniche. Quelle successive al trasporto della Macchina. Mi ricordo che un anno due fratelli, Angelo e Anna Taddei, portarono lo stendardo con l’immagine di Santa Rosa per tutto il percorso”.

E dal 2005 l’iniziativa non si è mai fermata…

“No. Non ci ha fermato neanche il Covid. Sia perché eravamo all’aperto, sia perché siamo stati molto attenti a mantenere le distanze”.

 Poi la partecipazione è cresciuta…

“Abbiamo raggiunto picchi anche di duecento presenze. Comunque non c’è iscrizione e chiunque può venire. Certo, molto dipende anche dalle condizioni atmosferiche. Ci si vede intorno alle 8 di mattina per partire alle 9. Quest’anno partiremo dalla chiesa della Crocetta”.

Queste passeggiate fanno parte del programma ufficiale del settembre viterbese?

“No, ma questa iniziativa ha contribuito, e non poco, a formare una diversa presa di coscienza su tutto ciò che riguarda Santa Rosa. Prima era considerata una peculiarità tutta viterbese, ora il raggio di azione e di conoscenza si è esteso, proprio grazie alle passeggiate. Però un bel riconoscimento lo abbiamo avuto: due anni fa Patrizia Nardi, coordinatrice della Gramas, l’associazione che raccoglie gli eventi con le grandi macchine a spalla, ci ha inserito nella Buffer zone della Gramas stessa, con la motivazione che patrimonio immateriale dell’umanità Unesco non è solo la Macchina, ma anche tutte le tradizioni che ci sono intorno”.

In chiusura, il programma di quest’anno?

Quest’anno le date sono l’11, il 18 e il 25 settembre. Poi ci sarà una passeggiata straordinaria il 4 dicembre (che è domenica) da Viterbo a Soriano, per ricordare proprio il giorno della cacciata. Di più: dal momento che questo è il diciottesimo anno dell’iniziativa abbiamo in programma anche una pubblicazione con la collaborazione di padre Agostino Mallucci, frate francescano. Come francescana era Santa Rosa”.

Insomma, in cammino sulla strada di Santa Rosa…

“Sì, è proprio così. Un’iniziativa che non vuole essere solo religiosa, ma anche naturalistica e turistica. Anche perché il ritorno a Viterbo sarà effettuato col trenino dell’ex Roma Nord. Anche questo un tuffo nel passato”.

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