Scorie radioattive, si apre la consultazione: un test per valutare la forza della politica locale nella tutela della Tuscia

di Luciano Costantini

Ventidue i siti della Tuscia individuati per diventare depositi di residui radioattivi, così come programmato dalla Sogin, la società di Stato incaricata dello smantellamento delle centrali nucleari e della messa in sicurezza delle scorie. Operazione mappata e formalizzata dalla Cnapi, cioè la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee. Il via libera dovrà essere dato dai territori, più precisamente da coloro che i territori amministrano a vario titolo. Non sarà facile e non sarà temporalmente un responso rapido. Alla pubblicazione dei siti scelti dalla Cnapi è scattata, immediata, la prima risposta. Univoca, quasi senza distinzione di toni e di colore politico: la Tuscia ha detto “no”. Un “no” senza se e senza ma. Ben ventidue depositi nel Lazio, e tutti in provincia di Viterbo, rispetto per esempio agli otto previsti in Piemonte e ai due della Toscana fanno subito pensare a una distribuzione abnorme già numericamente. Ma i numeri qualche volta possono anche condizionare, comunque non offrire una lettura corretta ed esaustiva. Nel caso specifico, dall’approccio al problema fino ai dettagli tecnici sulla definitiva messa in sicurezza delle scorie. Specialmente in prospettiva futura. La creazione di un deposito nazionale nucleare per scorie ad alta attività (su un’area di 150 ettari, di cui 110 dedicati al silos e 40 al parco tecnologico; ospiterà 78.000 metri cubi di rifiuti a bassa e media attività), è ancora lontana nel tempo e si prefigge di fornire più ampie garanzie rispetto ai siti di stoccaggio di migliaia di metri cubi di residui radioattivi che oggi spesso versano in condizioni precarie. Una situazione che, per certi aspetti, ricorda quella critica e mai risolta delle comuni discariche dei rifiuti urbani. Quindi, un problema che oggettivamente c’è; che resta aperto; che lievita con il trascorrere del tempo; che in definitiva va risolto con serenità, evitando prese di posizioni istintive e magari strumentali. Ha scritto il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, sul suo profilo sociale: “La Cnapi è un atto che il Paese aspettava da tempo. Da troppi anni i rifiuti radioattivi sono stipati in siti provvisori. Pensiamo a tac, risonanze magnetiche o medicina nucleare. Rifiuti che vanno messi in sicurezza. Oggi parte uno storico percorso. Non è tempo di polemiche”. Ciò detto, cosa diversa sono i criteri di scelta dei siti, cioè il percorso individuato. Già al primo sguardo della carta geografica della Penisola, la nostra provincia si staglia con assoluta rilevanza su tutte le altre. Una macchia di colore su un foglio che vuol dire una pattumiera nucleare. Dimostrazione fotografica dell’ennesimo atto unilaterale di impatto contro l’identità di un territorio. Lontano da noi vantare riferimenti etnici e storici che solo l’ignoranza e/o l’indolenza della memoria di altri potrebbero giustificare. Restiamo alla cronaca di qualche decennio addietro: una centrale nucleare, quella di Montalto di Castro ovviamente, che in otto anni (dall’82 al ’90) è servita soltanto ad alimentare le polemiche, gli scontri politici e a fagocitare 7.000 miliardi di lire. Che è costata – come qualcuno ha stimato – 250 euro ad ogni italiano. In compenso, un impianto che si è rivelato un vulnus ambientale e sociale devastante. Una cicatrice che resterà a segnare il territorio. La Tuscia può vantare due splendidi laghi – anch’essi sono segnati sulla carta geografica d’Italia – la cui salute, se non addirittura l’esistenza, è messa a repentaglio. Sulle terre del bacino dello specchio d’acqua di Bolsena incombe il sistema degli impianti geotermici che inevitabilmente potrebbe invadere, sconvolgere, avvelenare l’humus e insidiare l’esistenza fisica di chi vi abita. A Vico una riserva naturale convive con un dismesso centro nucleare batteriologico militare. Una drammatica assurdità. Esempi che sono a dare testimonianza di decisioni fatte calare dall’alto e per volere di chissà chi. I nostri segnali di concertazione e magari di contrasto sono stati, purtroppo, sempre flebili e per questo colpevoli. Ha provveduto semmai la cara terra viterbese ha inviare ammonimenti netti rispetto alla aggressione sistematica che veniva dall’esterno. Nel ’71 il terremoto seminò morti e distruzioni a Tuscania, confermando senza equivoci che la Tuscia custodisce inestimabili tesori all’interno di un delicatissimo scrigno che domani potrebbe ospitare anche residui di pericolosissime bombe a tempo. Uno scrigno che poggia oltre tutto su un’area dichiaratamente sismica. Esempi oggettivi che parlano di inarrestata e irresponsabile devastazione territoriale che è anche e soprattutto conseguenza della gracilità o ignavia di chi la Tuscia ha rappresentato per decenni, al di là dei cromatismi politici. Ora il nucleare offre a tutti la possibilità, fatalmente irripetibile, di valutare serenamente la questione del nuovo/vecchio nucleare per poi costruire, se possibile, un fronte unico. In altre parole, va individuata una strategia comune e condivisa nell’interesse della collettività, al di là di possibili per quanto probabili ingerenze di varia estrazione. Andar da soli significherebbe perdersi e perdere. Sarà un test attendibile per valutare tono, intensità e incisività della voce di chi la Tuscia rappresenta. Vorremmo, da ultimo, soltanto proporre un vecchio proverbio dei nativi indiani d’America e più che mai attuale: “Noi non ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli”.

Foto: Veduta di Tuscania, una delle aree individuate

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