Pierpaolo Manca: “La Caritas non è solo pacchi, mensa e dormitorio, ma il desiderio di creare Comunità”

di Laura Pasquini

Pierpaolo Manca
Lo abbiamo visto in ultima uscita pubblica presso la Sala Alessandro IV alla presentazione
del libro Come è in cielo, così sia in terra di padre Vittorio Trani il 19 aprile scorso e
precedentemente, il 24 marzo, del libro di Luca Serafini Il cuore di un uomo dedicato alla
figura di René Cavaloro, l’inventore del bypass.
Lui è il Dott. Pierpaolo Manca, referente dello sportello Ufficio Immigrazione della
Caritas diocesana di Viterbo e appartenente all équipe pastorale carceraria.
Per tutti, non solo per gli amici, semplicemente Pierpaolo.
Lo incontriamo in un torrido pomeriggio di luglio alla Fondazione Alless Don Milani in piazza della Rocca, a Viterbo, per parlare del suo lavoro e conoscerlo meglio.

Originario di Cagliari, si laurea a Parigi in Diritto e in Lingue e lavora tanti anni al Bureau d’Immigration, occupandosi di immigrazione clandestina e collaborando a progetti tra Europa e Africa, Europa e America, Europa e Asia. Viaggia moltissimo per lavoro, visitando tre quarti del globo e ritorna infine in Sardegna nel 2014 a causa di un lutto molto grave in famiglia.
Attualmente sta per conseguire un master in Criminologia Forense e Investigativa.
Ci racconta in un linguaggio colto, raffinato, colloquiale come è arrivato nella Città dei Papi.
“Vi sono arrivato per una serie di incontri fortunati… Pensavo che sarei tornato presto a Parigi, invece sono dovuto rimanere per molti mesi accanto alla mia famiglia in Sardegna. Nel frattempo, ho cercato di trovare una strada per continuare la mia opera di volontariato, che in Francia svolgevo alla Maison du Coeur; grazie ad una mia amica suora ho cominciato a dare unamano in Caritas. In una libreria, mentre stavo cercando un testo sull’immigrazione, ho conosciuto una ragazza, e qui ho trovato anche l’amore, ottimo motivo per restare”.
Il discorso si fa interessante e cerchiamo allora di capire qualcosa di più…

La specificità della sua funzione quanto e dove incide nella realtà del territorio?
Il mio ruolo Caritas è stato un evolversi, ho cominciato con l’Ufficio Immigrazione e collaboro anche con la Curia, interessandomi dell’aspetto legale.
Seguo anche per la Caritas, in un lavoro di équipe, l’inserimento delle persone ai lavori di
pubblica utilità, lo stesso per alcuni monasteri della provincia.

Qual è l’identikit della povertà di Viterbo?
Rispondere a questa domanda non è semplice perché bisogna capire cosa intendiamo per
povertà… La povertà è materiale e spirituale, mentale.
La povertà materiale sta crescendo sempre di più e non solo quella di chi sta sulla strada, ma anche persone comuni, pensionati che non riescono a pagare una bolletta; possiamo stimare cinquanta per cento gli Italiani e cinquanta per cento gli stranieri.
E’ una dura realtà, quella degli “ultimi”, che sono ancora meno degli ultimi perché vivono una povertà di spirito, una solitudine che non si può descrivere… Chi non ha più la casa e viene in dormitorio, persone che aspettano il permesso di soggiorno e chiedono alla Caritas di prolungare di settimana in settimana; purtroppo, in quasi tutte le città italiane non si vuole affittare agli immigrati, si ha paura, vengono guardati male.

“Condivisione” si allinea con “fare rete”, un percorso che coinvolge le istituzioni in un processo inclusivo. A che punto siamo?
Sì, esiste anche se qualcuno non ci dà retta… Se ci fosse una rete veramente compatta si
risolverebbero tanti problemi, c’è veramente tanto da fare ancora.
Il nostro Vescovo Monsignor Piazza desidera che noi collaboriamo con tutte le parrocchie,
abbiamo creato questa unione per conoscere i bisogni e le criticità di tutte le persone ai
margini della società di cui i parroci sono a conoscenza, per capire come li si può aiutare al
meglio. La via della creatività indicata da papa Francesco sollecita particolarmente le Caritas diocesane al coinvolgimento e alla valorizzazione dei giovani.

I giovani viterbesi come si propongono in Caritas, qual è il loro contributo?
Per i giovani abbiamo il servizio civile; poi c’è il progetto UNICORE, che coinvolge studenti
che dall’estero vengono a frequentare l’Università della Tuscia. Abbiamo dedicato ai ragazzi
il progetto ABITIAMO, si tratta in particolare di un cohousing rivolto a studenti universitari
del nostro territorio.

In questo periodo storico, in cui aumentano le disuguaglianze e le ingiustizie si
stratificano, dove vi orientate per aiutare le persone a trovare la pienezza della dignità?
Una persona può trovare la pienezza della dignità dal momento in cui viene vista come tale,
cioè come persona, e questo lo si fa ogni volta che riusciamo a togliere le etichette e il
pregiudizio che potrebbero accompagnare l’altro. E poi, c’è bisogno di empatia. A partire
dalla sospensione del giudizio si passa all’empatia, dove si entra in contatto sincero con la
storia e le ferite di una persona “altra” da noi. Queste componenti sono soltanto il riflesso
della dignità che ciascuno di noi possiede. Dai valore all’altro, lo aiuti, lo accogli e lo sostieni perché la tua dignità personale è nel posto giusto.

Quali sono gli ostacoli più grandi?
Molto spesso troviamo dei muri proprio da parte dell’utente stesso, che non riesce a capire
quello che noi vogliamo fare per loro, il loro coinvolgimento nei progetti che noi costruiamo
continuamente. Spesso è veramente molto faticoso, ma cerchiamo di non abbandonarli.

Personalmente, cosa l’ha colpita di Viterbo? Cosa la fa emozionare?
Mi ha colpito il cittadino che vuole Viterbo più bella, che vorrebbe che Viterbo fosse una vera città turistica; mi ha colpito il suo centro storico, con quel meraviglioso Palazzo dei Papi, San Pellegrino… E’ veramente una città colma di bellezza e ho provato una grande
emozione la prima volta che ho visto il trasporto della Macchina Santa Rosa.

Qual è il desiderio più grande che vorrebbe vedere realizzato qui da Caritas? Quali
sono le parole chiave da porre in evidenza?
Dare speranza alle persone, costruire tanti progetti, offrire una vera accoglienza… Vorrei
che la Caritas non fosse vista solo come pacchi, mensa e dormitorio, ma come una vera
casa. “Comunità” è la parola chiave.
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