Pane: dallo spreco al caro energia

di Arnaldo Sassi

Ermanno Fiorentini e Clara Cicatiello

“Dacci oggi il nostro pane quotidiano” recita il Paternoster, che tutti noi abbiamo imparato da piccoli al catechismo. Però, oggi quel pane è nell’occhio del ciclone per due fenomeni che sembrano contrastare l’uno con l’altro, ma che in realtà, complicano maledettamente la produzione di quel cibo che non manca mai in ogni tavola dello Stivale.

Lo spreco, ovvero il surplus di produzione, è la prima questione. Una questione tutt’altro che secondaria per un bene che è estremamente deperibile e che il giorno dopo non si può più vendere come fresco. L’aumento spropositato dei costi di produzione è il secondo tema. Un tema che affligge il 100 per cento delle imprese italiane e che sta mettendo nei guai soprattutto quelle energivore.

Di tutto questo si è parlato all’interno del panificio Anselmi, in via della Palazzina, in un incontro organizzato dalla Cna, al quale erano presenti il presidente dei panificatori viterbesi Ermanno Fiorentini, il presidente del settore agroalimentare Claudio Cavalloro, il responsabile dell’agroalimentare per Viterbo Luca Fanelli e la ricercatrice dell’Unitus Clara Cicatiello, che ha condotto l’indagine sugli sprechi. Con la supervisione della segretaria generale della Cna Luigia Melaragni.

“A livello europeo – ha esordito la dottoressa Cicatiello – il pane è l’alimento più gettato nel cestino dei rifiuti. E l’Italia non è da meno. Così, con l’aiuto di dodici panificatori di Viterbo e provincia, è stata condotta questa indagine per stabilire quale sia la quantità dello spreco. Per cinque mesi, da febbraio a giugno, i panificatori aderenti all’iniziativa hanno annotato ogni giorno la quantità di pane prodotto e di quello venduto, con riferimento al pane vero e proprio, alla pizza bianca e ai panini. Il risultato finale è stato che c’è un surplus medio di produzione del 5 per cento. Che per un piccolo panificio può essere poca cosa, ma per quelli più grandi può diventare considerevole”.

C’è un rimedio a tutto ciò? La dottoressa Cicatiello ha tracciato una sorta di linea guida, che prevede cinque punti: tenere nota ogni giorno del surplus per riprogrammare la produzione; incentivare, anche attraverso i moderni strumenti tecnologici (leggi: applicazioni) le ordinazioni da parte dei clienti; rendere riconoscibili da parte del consumatore le azioni anti spreco; proporre, tramite la Cna, azioni collettive a livello comunale, come ad esempio diminuire la Tari a coloro che hanno un comportamento virtuoso; favorire le donazioni, sia per l’alimentazione animale, sia alle associazioni e agli enti di beneficenza.

“E’ un percorso che è appena iniziato – ha concluso Clara Cicatiello – ma che potrebbe portare notevoli vantaggi economici se ben gestito”.

Ma il problema che ha accalorato maggiormente i panificatori presenti in via della Palazzina è stato il tema del caro bollette, che sta mettendo letteralmente in ginocchio tutte le aziende. “In provincia di Viterbo ci sono 139 panifici. Io ricevo decine di telefonate al giorno – ha detto Claudio Cavalloro – di gente che mi dice che non ce la farà a pagare la prossima bolletta”.

Il periodo, si sa, è pesante per tutte le imprese. Prima il rincaro della farina e delle altre materie prime, ora quello dell’energia. “Le bollette – prosegue Ermanno Fiorentini – sono aumentate più del 50 per cento e non tutti gli aumenti possono essere ricaricati sul consumatore. Così si rischia di produrre in perdita. Anzi, in alcuni casi diventa non più conveniente produrre”.

Né gli aiuti del Governo generano un minimo di ottimismo. “Sono pochi e intempestivi” è la risposta di Luca Fanelli. “Il mercato varia di giorno in giorno e il famoso credito d’imposta rischia di arrivare troppo tardi e non è strutturale”.

Neanche le rateizzazioni riescono a dare un po’ di sollievo. “Le bollette arrivano tutti i mesi – dice un panificatore – e anche se te le rateizzano poi il debito si accumula. Noi ancora stiamo pagando le banche per i ristori dell’emergenza Covid. Né è conveniente diminuire la produzione. Perché se io devo cuocere 10 o 100 panini il forno le devo accendere lo stesso per lo stesso tempo”.

E allora? “Per stare sul mercato – è la conclusione – dovremmo aumentare il pane da 3 a 12 euro al chilo. Ma poi l’operaio che guadagna mille euro al mese, che mangia?”.

Già. “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” recita il Paternoster. Ma di questi tempi non è più tanto sicuro.

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI