I minifacchini di Eterna, la Minimacchina del Centro Storico

di Donatella Agostini

Minifacchini del Centro storico

Nello spiazzo dietro la chiesa della Crocetta, in via Mazzini, a Viterbo, il caldo di fine agosto è ancora intenso. Le decine di piccoli piedi calzati negli stivaletti neri alzano nuvolette di polvere, mentre battono all’unisono al ritmo di marcia. Sono giornate importanti: mentre i loro genitori affollano i bordi del campo, i minifacchini fanno le prove per il trasporto della Minimacchina del Centro Storico, in programma per lunedì primo settembre, alle ore 21.

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I visetti seri e concentrati, ognuno con il piccolo cuscino bianco che li protegge dal contatto
con il legno della struttura, mantengono una disciplina pressoché totale sotto le stanghe di
legno: sono pur sempre ragazzi – dai sei ai quattordici anni di età – ma si sentono anche e
soprattutto mini Facchini di Santa Rosa, e sono coscienti e consapevoli di stare per fare
qualcosa di bello e di importante: trasportare sulle loro spalle la Minimacchina “Eterna”, di
colore bianco e rosa, alta cinque metri e mezzo e pesante quattro quintali, lungo un percorso di un chilometro e seicento metri. Un percorso che si snoda lungo il centro storico di Viterbo, a volte insidioso per le salite e le discese e la presenza, in un punto particolare di via Mazzini, di un “soffitto basso” che li costringe quasi a inginocchiarsi. Così ascoltano senza distrarsi le indicazioni del capofacchino Alessandro Lucarini, il loro “coach”, autorevole e affettuoso allo stesso tempo, e quelle degli altri componenti del Comitato, alcuni dei quali saranno le guide che li supporteranno durante il trasporto.

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«Mi raccomando, stanga vicino all’orecchio, mani con le dita incrociate… L’unione delle dita
fa la forza», suggerisce Alessandro. Tra le tante teste con i capelli corti, spiccano alcune
trecce e alcune code di cavallo: qualcosa di innovativo rispetto alla tradizione perché qui, su un totale di 195 minifacchini, ben 26 sono ragazze. Abbiamo voluto incontrare proprio alcune minifacchine, Sofia, Danugia e Deansa, che insieme al minifacchino Andrea ci hanno parlato della loro esperienza, delle loro emozioni e dei loro sogni, a partire dal motivo per cui si trovano ad affrontare un compito tanto bello quanto impegnativo.
«La voglia di provare è nata guardando i minifacchini che portavano la Minimacchina: avevo
anche amici che lo facevano», esordisce Sofia, aspetto delicato ma tanta energia da
spendere. «Un po’ anche per dimostrare che potevo farlo anche se sono femmina. E’
abbastanza faticoso, però sono una sportiva – pratico basket – e questo mi aiuta».
«Io invece ho la passione per Santa Rosa fin da piccolo», prosegue Andrea, dodicenne
piccoletto e agguerritissimo. «La passione per Santa Rosa ce l’ho da sempre: da piccolo
avevo i fumetti, la disegnavo… E i giorni della festa sto con i miei parenti, mi diverto tanto.
Mio padre aveva per amico una guida della Macchina, ho visto bene i facchini che la
portavano, ho pensato che fosse un onore. Così ho iniziato a fare il minifacchino. Sono stato tre volte ai cavalletti, e quest’anno è il secondo che faccio sotto la Minimacchina: quindi mi dovrebbero dare la targa!».

«Noi siamo minifacchine perché siamo nate a Viterbo e vogliamo tanto bene a Santa Rosa»,
aggiungono Danugia e Deansa, due ragazzine dolcissime dall’aspetto esotico e dai lunghi
capelli neri. La loro famiglia è originaria dello Sri Lanka e si sono integrate bene nel folto
gruppo dei loro coetanei. Le due sorelline sono le prime a parlarci delle emozioni che si
provano la sera del primo settembre, in attesa del “sollevate e fermi”.
«Quella sera sono felice quando la porto, però provo anche un po’ di ansia», afferma
Danugia, la maggiore. «Però quando la solleviamo l’ansia va via».
«L’emozione più grande che sento è una grande energia. Poi certo c’è la tensione, la
preoccupazione, però Alessandro ci tranquillizza. E poi è importante che vengano i miei
parenti e i miei amici a vedermi, mi sostengono», prosegue Sofia.
Andrea ci spiega in che modo sono organizzate le squadre. «Qui da noi ci sono le file, dalla
A alla D. Poi ci sono le squadre: una fa le pianure corte, una le pianure lunghe, la terza
squadra fa le salite e le discese. Per il momento sono alle pianure corte, come loro»,
prosegue indicando le compagne. Mentre i facchini maggiori seguono un iter di ruoli fino ad
arrivare a quello di ciuffo, nella Minimacchina, man mano che aumenta l’età e l’esperienza,
si entra a far parte della squadra delle salite e delle discese, perché maggiormente
impegnative. «I facchini grandi fanno la prova singolarmente, noi invece iniziamo tutti
insieme. Quella sera io provo tutto: gioia, ansia… Tutto».

Tanta passione li potrebbe portare, in un futuro non troppo lontano, a misurarsi con la
Macchina di Santa Rosa. «Potrei anche provare a portare la Macchina grande, però quella
l’ho sempre vista da spettatrice, quindi mi sembrerebbe molto strano…» afferma Sofia. Nel
regolamento del Sodalizio, del resto, non c’è una regola che preclude il trasporto alle donne.
Magari potrebbe essere proprio lei, o una delle sue compagne, a essere la prima facchina
donna della storia della manifestazione. «Io proverò senz’altro a portare “quella vera”»,
aggiunge Andrea. «I facchini grandi portano un centinaio di chili sulle spalle, dieci volte più di noi, quindi dovrò allenarmi molto».

Per il momento, i ragazzi tornano sotto le loro stanghette, appoggiandole sul cuscinetto
posizionato sulla spalla. Qualcuno stringe i denti per lo sforzo, socchiudendo gli occhi e
cercando di ignorare la fatica. Tutti si impegnano al massimo perché anche quest’anno la
Minimacchina del Centro Storico arrivi bellissima e illuminata all’arrivo di piazza Dante. Un
impegno che questi ragazzi condividono con i compagni che trasporteranno le altre
Minimacchine dei quartieri Pilastro e Santa Barbara. Riusciranno tutti nell’impresa, nel nome di una Santa ragazzina come loro, che forse proprio per questo riesce ancora a parlare ai loro cuori, dopo secoli e secoli. E perché hanno capito la bellezza del “fare squadra”: sono tutti “d’en sentimento” e l’unione, si sa, fa la forza.

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