Marco Zappa, l’arte di coltivare la bellezza di una Viterbo segreta

di Donatella Agostini

La Viterbo nascosta è quella impossibile da vedere dal finestrino di un’auto immersa nel traffico. Si offre unicamente allo sguardo di chi sceglie il cammino lento tra vicoli e piazze. Si fa intravedere, celata dalle sovrastrutture della modernità, spesso improvvide, sempre disturbanti. È nascosta, mimetizzata alla vista distratta dei più, la chiesa dei SS. Giuseppe e Teresa, in piazza Fontana Grande; la sua facciata barocca fa da fondale alla maestosa fontana omonima. Al suo interno, il silenzio è rotto dalle note discrete di una musica classica. Solitario e inerpicato su un ponteggio a metri di altezza, un artista dà pennellate di colore ad una tela dalla forma e dalle dimensioni della lunetta soprastante. Di fronte, quasi del tutto nascosta dietro una tramezzatura, campeggia una grandissima tela ormai ultimata, i cui colori balenano a sprazzi nelle tonalità smorzate dell’ambiente. Il luogo in cui ci troviamo rappresenta forse un unicum: una chiesa divenuta aula di giustizia e abbandonata infine all’oblio. Eretta nel corso del Seicento, la chiesa dei SS. Giuseppe e Teresa ospitava cappelle gentilizie e pregevoli opere d’arte. Ma qualche anno dopo l’Unità d’Italia fu sconsacrata e spogliata, per essere destinata ad ospitare la Corte d’Assise. Nel lato destro dell’antico transetto si trova ancora la gabbia che imprigionava gli imputati, e su un cartiglio si legge ancora la frase “La legge è uguale per tutti”. Ma quale tipo di legge?

«La legge divina. La legge umana. Legate da un filo conduttore che dalla fine dell’Ottocento arriva ad oggi». A risponderci è Marco Zappa, l’artista e docente che, dal 2017, sta realizzando qui un’opera articolata e suggestiva, che regalerà alla comunità intera: il Giudizio Finale. Nato a Viterbo, Marco attualmente si divide tra la sua città natale e Milano, dove ricopre le cattedre di tecniche pittoriche e di anatomia artistica alla Nuova Accademia di Belle Arti. In questo spazio particolare, sospeso tra fede e laicità, tra prestigio e abbandono, Zappa ha deciso di realizzare un grande progetto pittorico, sullo schema dei regni ultraterreni di dantesca memoria. «Ho già ultimato il Paradiso e ora sto lavorando al Purgatorio; sotto troverà posto l’Inferno». Il Paradiso è una grande tela di centoventi metri quadri, appesa alla parete in fondo all’abside. Su un prezioso e simbolico sfondo blu oltremare, innumerevoli figure umane si susseguono in un vortice dinamico ed ascensionale, che le sospinge in alto verso la lunetta. «Ho usato colori vividi, perché nell’accezione comune il Paradiso è qualcosa di positivo e luminoso», ci spiega Zappa. «Il colore è luce, e la luce è il bene, è positività che si prova in una bella giornata di sole, contrapposta alla sensazione di difficoltà connessa ad una giornata plumbea. L’Inferno verrà infatti realizzato con tinte livide, spettrali, acide. Non vi compariranno figure mostruose o demoniache: saranno sempre figure umane, ma biancastre, evanescenti, attirate dal fondo, a cascata, e delineate su un fondo scuro. Il Purgatorio invece lo sto realizzando con dei grigi, perché è uno stato intermedio, di coloro che non sono stati né buoni né cattivi, senza una posizione precisa. Però è positivo, ed è questo il motivo del fondo argento, che rappresenta la spiritualità. Questo lavoro attinge ad una vecchia serie che realizzai nel ’97, incentrata proprio sulla spiritualità, in cui l’argento che avvolgeva le figure voleva essere un richiamo ai fondi argentati e dorati delle icone medievali. Tutta la mia pittura è un rimando alla nostra storia e alla nostra tradizione artistica». La grande tela del Paradiso occhieggia da una porta aperta nella tramezzatura di fondo, che altrimenti la oscura completamente. È il destino che accomuna tutte le bellezze della Viterbo nascosta: splendere in segreto dietro le sovrastrutture.

La permanenza del lavoro di Marco Zappa in questo sito dipende tutta dalla destinazione che si intenderà dare all’ambiente, che dopo i lavori di restauro conoscerà un nuovo riadattamento: l’ennesimo della sua storia. È un’occasione da non perdere per la cultura cittadina, e Marco ha le sue idee in proposito. «Questo sembra un luogo che non ha più nessuna storicità; invece dovrebbe diventare un monumento da visitare, per gente che possa guardare i resti di quella che fu l’aula giudiziaria; ma rivaluterei anche e soprattutto l’aspetto della chiesa, che andrebbe rivissuta come tale. Andrei a ripristinare stucchi e targhe coperti, corridoi e scale ora nascosti dietro le pareti. Vorrei che si parlasse meno del fatto che qui si è celebrato il processo Pisciotta, e più del fatto che qui è stata la tomba di Giovan Francesco Romanelli». Il viterbese Romanelli, allievo del Domenichino e di Pietro da Cortona, nel Seicento al servizio dei cardinali Barberini e Mazzarino, è un artista che purtroppo non viene sovente ricordato a Viterbo. «Vi riposizionerei l’Annunciazione, il quadro che Romanelli realizzò per la cappella dove oggi c’è la gabbia» continua Zappa. «Dopodiché lo farei diventare un luogo deputato alla cultura, alle esposizioni, alle mostre, alle conferenze. E sarebbe bello che il mio progetto si allargasse anche ad altri artisti».

È oggettivo che la cultura in Italia e a Viterbo non venga di solito considerata una priorità. Eppure coltivare gli animi nutrendoli di bellezza e “fabbricare” così uomini e donne migliori dovrebbe incentivare la messa in atto di progetti e di idee, come quelle di Marco Zappa. «Idee e progetti? La gente oggi è affamata di cultura, e compito delle amministrazioni dovrebbe essere quello di agevolare la realizzazione di progetti culturali. Ad esempio, in base ai documenti di cui disponiamo, Viterbo è la prima città in Occidente dove sono arrivate le carte da gioco, i Tarocchi. Ho pensato: perché non invitiamo artisti da tutto il mondo, non facciamo un percorso mirato, una mappa con dei punti dove ogni anno due o tre artisti di caratura internazionale realizzino opere sulle carte da gioco? Per vederle il turista si farebbe tutto il percorso della mappa e andrebbe anche in luoghi meritevoli di visita, ma dove di solito non va mai. Un altro progetto che ho è di realizzare un museo interattivo del Novecento. Sono un appassionato di storia oltre che di arte, ho una bella collezione di reperti della Prima guerra mondiale. Cercherei altri materiali, perché tutti noi in casa conserviamo qualcosa che risale al secolo scorso. Perché secondo me la storia ai ragazzi si insegna così: facendo vedere e soppesare oggetti che provengono da un’altra epoca. E gli Almadiani, che per anni è stata una chiesa dove ogni settimana si svolgeva una mostra. A Viterbo c’è una quantità di corsi di disegno, e i loro allievi hanno la necessità di esprimersi e di mostrare agli altri quello che realizzano. Bisognerebbe trovare una formula che consenta a tutto questo mondo vivo ma sommerso di artisti di poter esporre lì, in modo libero e gratuito». Torniamo di nuovo di fronte al Giudizio Finale, mirabile accostamento tra giudizio terreno e divino, che solo in questo luogo riesce ad esprimersi al meglio. «L’opera nasce come laica: è il concetto di giudizio che l’umanità darà a se stessa, e che dividerà se stessa in buoni e cattivi. È il giudizio della storia, che gli uomini di domani ci daranno quando non ci saremo più». Potremo essere giudicati anche per il modo in cui abbiamo trattato la storia, l’arte e la cultura in genere: con la noncuranza, la disattenzione, nascondendole alla vista di chi ha tutto il diritto di fruirne.

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI