Stoner è stato uno dei bestseller degli ultimi anni. Pubblicato con scarso successo (meno di 2000 copie vendute) nel 1965 negli Stati Uniti, è uno dei casi di “riscoperta felice” e postuma di un romanzo.
William Stoner (il protagonista) vive con la sua famiglia povera in un paesino rurale, fino a che si trasferisce all’università del Missouri, dove, dopo essersi laureato in Lettere – e non in Agraria come avrebbe voluto il padre per essere aiutato con il lavoro nei campi – decide di intraprendere la carriera di insegnante. Una rivoluzione nella vita di Stoner. Tuttavia le preoccupazioni materiali lo accompagnano sempre. Inoltre non è così socievole come ci si aspetterebbe da un giovane professore, non partecipa e non si interessa a questioni sociali e politiche. Sposa la prima ragazza che gli fa provare un sentimento simile all’amore. Ecco un’altra rivoluzione… Eppure con la moglie la relazione è persino peggiore della conflittualità vissuta nel passato con i genitori. In certe occasioni lei gli mostra indifferenza se non un disprezzo malcelato. Passano gli anni, la guerra, e la vita di Stoner sembra sciuparsi, senza un sussulto di vitalità. Ama i libri e l’insegnamento, ma lo fa con lo stesso serio cipiglio col quale affronta ogni aspetto della quotidianità.
È una trama senza grossi colpi di scena, minimale. Eppure il libro scorre che è una delizia, e la scrittura di Williams in certi tratti incanta il lettore per la sua precisione e ricchezza di espressioni. Talvolta potrà disturbare un po’ l’abuso di aggettivi e la lunghezza di alcune scene, ma ci sono singoli passaggi narrativi che per la loro intensità valgono anche una seconda lettura. Una autentica dimostrazione che, al di là della trama in sé, in un romanzo possono essere ben altri gli elementi che lo rendono speciale.
“Stoner restò immobile per un pezzo. Guardò la sua scrivania, piena di appunti e libri aperti, si mise a passeggiare lentamente per la stanza, sistemando i libri e i fogli senza criterio. Si fermò di nuovo, accigliato, per vari minuti, come se cercasse di ricordare qualcosa. Poi si voltò ancora e si avvicinò allo scrittoio di Grace. Rimase lì, in piedi, come aveva fatto accanto alla sua scrivania. Spense la lampada della figlia e il ripiano dello scrittoio rimase grigio e privo di vita. Poi andò a sdraiarsi sul divano e vi rimase con gli occhi aperti a fissare il soffitto. Comprese solo gradualmente l’enormità di ciò che era successo, e gli ci vollero parecchie settimane prima di poter riconoscere a se stesso quello che Edith stava facendo. Quando finalmente ci riuscì, lo fece quasi senza stupore”.
John Williams, Stoner, Fazi editore, 2012, 17,50 euro