La maestria di Luigi Cozzolino nei presepi artigianali di Pianoscarano

di Donatella Agostini

Luigi Cozzolino

Viterbo custodisce al suo interno Pianoscarano, un vero e proprio borgo a sé stante. Qui il tempo sembra scorrere ad un’altra velocità, quasi che le sue porte di accesso nelle mura fossero varchi verso un’altra dimensione. Camminando di sera nei vicoli tra le case antiche, strette l’una all’altra a proteggersi dal freddo, tra un lampione che indora di luce il peperino e un gatto che scappa furtivo, si ha l’impressione che le persone e le cose siano le protagoniste di un’intima e poetica rappresentazione: Pianoscarano è un presepe tutto l’anno. E dentro a questo presepe, Luigi Cozzolino fa presepi. Ogni sera, di ritorno dal lavoro, si ferma nel suo piccolo laboratorio vicino alla chiesa di Sant’Andrea, e realizza deliziosi piccoli presepi, ricavandoli da oggetti provenienti dal nostro altro ieri: vecchi ferri da stiro, lampade ad olio, teiere, radioline, tegole recuperate. Ognuno con un suo peculiare significato. Le sue creazioni baluginano di luci delicate, trasportandoci nell’incanto delle atmosfere natalizie della nostra infanzia.
Tra i tanti presepi realizzati da Luigi, colpisce quello realizzato in una grande e vetusta caffettiera, che diventa occasione per cominciare a parlare di sé e della sua attività. «Il caffè moka è un mondo: rappresenta momenti di incontro con gli amici, con le persone cui tieni tanto». Nelle mani di Cozzolino la vecchia moka è diventata una casetta a due piani: alla base ha posizionato la Natività, con il Bambino in braccio a papà Giuseppe, mentre Maria si riposa dalle fatiche del parto. Sopra ha creato un colorato balconcino, con i panni stesi ad asciugare, serti di cipolle e peperoncini, e con la figuretta di una donna che appoggiata alla ringhiera guarda lontano. Il mistero del Natale come base fondante su cui poggia un mondo intero di affetti e di ricordi personali, niente affatto perduti nel tempo. «Questo presepe racchiude tutti i miei ricordi», ci spiega. Racchiude le radici partenopee di Luigi, nato a Viterbo da genitori originari di Ercolano, in provincia di Napoli. Proprio il padre, Mario, gli ha trasmesso la passione per i presepi. «Papà era un napoletano atipico, molto riservato… la mamma invece era estroversa, appassionata. Gli agenti di custodia come mio padre si potevano sposare solo dopo i trent’anni» racconta. «Lui fu trasferito a Viterbo, mentre mamma lo poté raggiungere soltanto nel ’58. Anche se poi lei continuò a sentire una grande nostalgia per Napoli: ogni occasione era buona per andare giù a trovare i nostri numerosi parenti». Nato e cresciuto a Pianoscarano, in via San Pietro, Luigi e la sua famiglia si sono trasferiti poi al quartiere Murialdo. Il balconcino del presepe rappresenta il terrazzo della casa della nonna, che abitava ad Ercolano, in via Pugliano, proprio sopra il colorato e chiassoso mercato dell’usato, il più grande del centro sud. «Ma è anche il balcone del Murialdo, da cui si affacciava mia madre, quando mi salutava con la mano vedendomi andare al lavoro».
Nei presepi di Luigi sono raffigurate scene della vita quotidiana di un tempo, occupazioni e divertimenti semplici e veri. Pescatori intenti a ritirare le reti, onde celesti e pesciolini d’argento. Bottegai che vendono pentolame e ortaggi. Una famiglia riunita per il pranzo di Natale, «quanti ricordi… ti restano dentro per tutta la vita». Un’osteria, ricavata da una vecchia ambientazione che stava per essere gettata via. «L’ho ripresa, ho aperto delle finestre – “abusi edilizi”», continua Luigi sorridendo. «Qui c’è chi brinda e c’è chi gioca a carte, come zì Pascale e zì Vicienzo, che rappresentano la Vita e la Morte. C’è Maria ‘a purpett, che è una vecchietta che serve polpette avvelenate ai mariti infedeli… ma la figura più importante del presepe è Benino, il pastorello dormiente. Non impersona lo stereotipo dell’indolenza napoletana: in realtà, tutto il presepe non è altro che il sogno di Benino». Quel sentimento di rimpianto per Napoli, che sua madre ha sentito per tutta la vita, si è trasmesso lentamente a Luigi. «Ora la sento anch’io questa nostalgia. Per qualcosa che ho vissuto solo indirettamente. Anche quando vedo i film di Troisi… il teatro di De Filippo, Natale in casa Cupiello… ecco, mi commuovo». Una nostalgia che si è intensificata da quando, un anno fa, sua mamma è scomparsa. «Quando si perdono le persone care… senti tanto dolore, tanta rabbia dentro. Ho voluto trasformare questa rabbia in qualcosa di positivo. Fare qualcosa che potesse farle piacere, qualcosa di diverso e di particolare, come questi presepi, anche se non voglio minimamente paragonarmi ai maestri napoletani. Mia madre amava la poesia. E siccome Luciano De Crescenzo sosteneva che il presepe è poesia e amore, mi è sembrato naturale cominciare a farli. L’albero di Natale è bello alla fine, quando lo accendi… il presepe invece è bello immaginarlo, è bello farlo. Soprattutto se lo fai pensando a qualcuno». E c’è stata una circostanza in cui l’amore e la poesia che Luigi infonde nelle sue creazioni si sono rivolti niente meno che a Papa Francesco. «Ho avuto il piacere, e l’onore, di consegnargli un mio presepe, in occasione della sua visita alla casa circondariale di Civitavecchia, dove io lavoro nel settore amministrativo. Un momento di commozione assoluta». I presepi di Gigi sono stati presenti al mercatino natalizio allestito presso lo Spazio Pensilina, in piazza Martiri d’Ungheria. E in occasione dell’evento “Natale de ‘na vorta”, il gruppo di artisti, musicisti e poeti vernacolari della Carovana Narrante, durante il loro viaggio tra cantine, botteghe d’arte, vicoli e simboli del cuore della città, hanno fatto tappa proprio nel laboratorio di Cozzolino. Per raccontare e rivivere la magia del Natale di un tempo, immergendosi nella poesia di un quartiere che è esso stesso un presepe. «Fino ad una decina di anni fa, qui a Pianoscarano per Natale venivano collocate in vari angoli delle statue in grandezza naturale dei personaggi dei presepi. Erano di colore bianco, e di sera con i lampioni facevano un effetto suggestivo. Purtroppo venivano spesso vandalizzate, e ad un certo punto l’iniziativa non è stata più portata avanti». Sarebbe bello se qualcuno decidesse di riportare le statue ai loro posti, complice la mutata sensibilità che ci fa apprezzare come non mai la preziosità di questo quartiere. «Prima si fuggiva da Pianoscarano, ora si torna. Ti svegli la mattina, senti il profumo del pane… dopo cinque minuti arriva il profumo della porchetta di Nazzareno… fai dieci passi e sei da Cioffi, con le sue mozzarelle inarrivabili… ricordo che quando abitavo al Murialdo, tornavo qui a trovare i miei amici d’infanzia. Mi guardavano male: ecco quello che si è trasferito nei quartieri alti, dicevano. Come se mi vergognassi delle mie origini. Non lo pensavo assolutamente: quando mi sono sposato, sono tornato a vivere qui». Qui, dove chiunque fa cose pensando a qualcuno. Che sia un caffè, preparato per un amico, che sia un presepe, pensato e realizzato con amore e poesia.

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