Nel 1944 la chiesa fu distrutta in buona parte dalla guerra, il corpo di santa Giacinta fu salvato grazie alle suore che lo portarono nei sotterranei del monastero. Il tempio che si trova in piazza della Morte a Viterbo, costruito su disegno dell’architetto viterbese Rodolfo Salcini, ha la facciata in peperino e presenta, sopra l’ingresso, una finestra quadra con rosone stellare in rame, alla sommità è il campanile a vela che sostiene tre campane.
Sull’architrave dell’ingresso è scolpito in rilievo: S. Hyacinthae de Mariscottis. Il tempio ha la facciata in peperino.
La chiesa fu inaugurata il 21 gennaio 1960 e dedicata non più a san Bernardino, come era in origine, ma a santa Giacinta. Tra gli artefici della ricostruzione è d’obbligo ricordare padre Celestino Grassotti dei Frati Minori, il quale offrì tutta la sua opera, desiderando addirittura di essere sepolto all’interno della chiesa. Ciò non avvenne per veti imposti dalla Curia e il frate riposa al cimitero monumentale di San Lazzaro, nella tomba di famiglia. Rimane però a ricordo del suo impegno la targa con scolpita l’epigrafe posta a destra di chi entra:
Sopra le stesse fumanti macerie / del vetusto tempio / all’apostolo senese S. Bernardino / dedicato / che conobbe i palpiti del cuore ardente / di S. Giacinta Marescotti / distrutto dalla furia dei bombardamenti / della guerra 1940-44 / l’opera tenace di padre Celestino Grassotti / l’arte mirabile dell’architetto Rodolfo Salcini / la munificenza delle autorità governative / hanno fatto sorgere / questa luminosa chiesa / S.E. l’arciv. Adelchi Albanesi / vescovo di Viterbo / la consacra a Dio in onore di S. Giacinta / oggi 21 Gennaio 1960 / le suore dell’annesso monastero / plaudendo ricordano.
La chiesa è meta ogni anno, prima del trasporto della Macchina di santa Rosa, dei Facchini di santa Rosa. Le suore donano a quest’ultimi una foglia colta dalla pianta di santa Giacinta come auspicio di un buon trasporto. La foglia si presenta con una curiosa spina al centro. Si racconta che un giorno d’Inverno santa Giacinta, camminando sul terreno dell’orto a piedi nudi, chiedesse al Signore una penitenza per ricordare la Passione.
Dal suolo ecco spuntare una pianta che aveva una spina su ogni foglia. In realtà, la pianta della famigla Ruscus hypolossum detto Ruscolo maggiore, la cui spina è morbida e non punge ma cresce e si rende prosperosa ogni anno grazie alle cure che le dedicano le sorelle (circa venti), che oggi abitano il Convento, buona parte giunte da quello di Farnese, le più giovani e numerose dalle nuove vocazioni.
Una chiesa aperta in cui si può entrare liberamente nell’arco della giornata per respirare un silenzio che penetra sino all’anima, in cui spesso nei banchi in prima fila si possono trovare le stesse suore in preghiera o nella recita delle lodi, oppure può arrivare un sottofondo in ottima acustica, è la soave eco dei loro cori.
Fonte notizie storiche: archivio Mauro Galeotti