Il suo nome? Antonello. Ma lo chiamarono il “menestrello”

di Arnaldo Sassi

Lo chiamarono “il menestrello” (copyright del giornalista del Messaggero Carlo Maria Ponzi). Per la sua innata capacità di raccontare, attraverso parole e gesti, come un vero cantastorie, fatti e misfatti del mondo della Tuscia. In realtà si chiama Antonello Ricci, ha 61 anni suonati e insegna lettere al liceo delle scienze umane (una volta istituto magistrale) Santa Rosa.
Incontrarlo e parlare con lui, davanti a una buona tazza di caffè, diventa un elisir di leggerezza e allo stesso tempo di voluttà del conoscere, alimentato da una profonda sapienza e spiattellato con una semplicità impressionante. Cose che hanno reso il personaggio nel tempo un’icona del mondo culturale viterbese.

Come è nata l’ispirazione di fare il cantastorie? O meglio, il menestrello?
“Forse per caso. Anche se questa mia vocazione nasce in un momento ben preciso: quando decisi, insieme ad altre persone, di cominciare la battaglia dell’Arcionello” (una campagna di informazione durata mesi, dopo che era stata ventilata dal Comune la possibilità di realizzare un piano integrato in una zona di altissimo interesse naturalistico, situata a latere di via Genova,ndr).

Bene. Racconta.
“Beh, io mi sono sempre occupato di letteratura, anche popolare e improvvisata. Ma fino a quel momento ero sempre stato legato ai libri e alla poesia in particolare. Poi arrivò quella vicenda che scosse la mia coscienza, e non solo la mia”.

E allora?
“In verità c’era stato un qualche prologo. Nel senso che io ed altri avevamo già cominciato a fare passeggiate racconto. Insomma, avevo già fatto il narratore ad alta voce, seppur in episodi sporadici. Poi ci sono alcune cose che scelgono te. E l’Arcionello scelse me. Una specie di magìa, che provocò una battaglia di politica civica, condotta però con le armi dell’intelligenza e della cultura”.

Insomma, l’Arcionello è stata la svolta…
“Sì, perché lì ho imparato a riconoscermi. Anche se negli anni ’90 Achille Poleggi mi aveva in qualche modo predetto il futuro. Presentando un mio libro mi disse: ‘Tu muovi le persone’, anche se lui faceva riferimento alla politica. Ma a me interessava soprattutto la cultura e quando scoppiò il caso dell’Arcionello capii qual era la mia dimensione: quella del narratore”.

Beh, in molti ricordano quelle passeggiate racconto in cui si metteva in risalto la peculiarità di quel territorio. E poi la storia non è finita male…
“E’ finita bene perché non si è più fatto il piano integrato, ma male perché non è mai nato il parco naturale. Rimane il bello di quella battaglia condotta solo con la forza delle parole e dei concetti, che generò un grande seguito”.

Gli avversari però non mancarono…
“No. Ed erano esterni e interni. Il primo fu senza dubbio il sindaco dell’epoca Giancarlo Gabbianelli, che però a un certo punto divenne anche un interlocutore. Ma il movimento stesso era diviso all’interno: c’era chi voleva la soluzione massimalista e chi invece quella riformista. Alla fine ha vinto la prima e non si è fatto più nulla, anche perché la Regione aveva chiaramente fatto intendere che non avrebbe concesso alcun finanziamento. Oggi sembra che la Provincia stia tentando di rimettere in piedi un progetto: staremo a vedere”.

E dopo l’Arcionello?
“La cosa bella è che è venuto fuori un metodo, un modo di leggere il territorio. Tanto è vero che dopo quell’esperienza è nata un’associazione che si è chiamata ‘La banda del racconto’. Un passaggio spontaneo perché noi abbiamo continuato a raccontare. La ‘Banda del racconto’ è una filiera, che nasce da un’idea di paesaggio. Che non è un luogo, ma il brusìo di quel luogo, narrato attraverso le pitture, i resoconti, le poesie e i fotogrammi cinematografici di chi l’ha vissuto. Tutto ciò è stato prima recuperato, poi assemblato e infine raccontato”.

La cosa ha avuto un certo successo…
“Sì, perché abbiamo anche creato un pubblico, desideroso di avere memoria del territorio e di conoscere i luoghi. Intercettiamo anche da fuori, ma la fame di sapere è diffusa soprattutto qui da noi”.

Anche l’iniziativa in atto in questo periodo, “Un territorio può”, raccoglie gli stessi consensi?
“Beh, abbiamo creato un gruppo di aficionados che ci segue un po’ dappertutto e con cui spesso nasce un dialogo di condivisione”.

Quindi l’attività è destinata a proseguire a spron battuto…
“Dico la verità: io sono un po’ stanco, ma dal 2015 abbiamo cominciato a formare una ventina di persone che già oggi sono protagonisti insieme al gruppo storico. E questa è un’assicurazione per il futuro, ma è anche un valore: quello della coralità che prescinde dai personalismi”.

L’ultima domanda: vista l’esperienza accumulata come cantastorie e le indiscutibili doti interpretative, non è venuta mai l’ispirazione di fare l’attore?
“Mi è capitato, ma richiede una disciplina che non mi è consona. Io preferisco le zingarate…”

 

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POST SCRIPTUM
I prossimi appuntamenti di “Un territorio può” sono sabato 30 aprile alle ore 16.30 con “Bassano Romano: una processione, un palazzo, una comunità”, passeggiata racconto nel borgo, tra la dimora e i giardini di Villa Giustiniani. E domenica 1° maggio alle ore 10,30 a Vignanello “Ombelico del mondo”, pillole e letture a cura delle narratrici Sonia Stefanucci e Sara Forliti con intermezzi e “pettegolezzi” critico-narrativi di Antonello Ricci.

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