Francese di nascita e di studi, viterbese di adozione. Del resto mica si sta per quarantaquattro anni nella Tuscia a ripercorrere e ricostruire l’esistenza degli Etruschi se non si è assimilata la cultura, l’unicità, la bellezza, di questo popolo tra i più intraprendenti, moderni, visionari della storia. L’eloquio, con tanto di erre che scivola delicatamente sulle parole, non lascia dubbi sulle origini, ma è lo scorrere del racconto a testimoniare che le emozioni più private dell’uomo sono sintonizzate con i sentimenti e sincronizzate con i ritmi di vita degli Etruschi. La necropoli di Norchia, le tombe di Rocca Scalina e Lattanzi, l’antica città di Musarna e il sito dell’Asinello, per il professor Vincent Jolivet sono diventati luoghi del cuore. Un archeologo diventato lucumone. Una chiacchierata alla fine di una lunga giornata di scavi, mentre il sole va lentamente nascondendosi dietro l’orizzonte. All’ombra di un gigantesco albero di noci. A fianco l’Ispettore Onorario dei Beni Culturali, Felice Orlandini. Poco più in là un gruppo di ragazzi francesi che fanno parte dell’équipe impegnata nelle ricerche.
Professor Jolivet, a Viterbo come ci è arrivato?
“Oh la la. E’ una lunghissima storia da raccontare. Ho studiato Lettere Classiche alla Sorbona di Parigi. Un corso terminato con una tesi sulle ceramiche etrusche a figure rosse esposte al Louvre. Infine sono giunto a Roma, in un istituto dove approdano giovani che hanno terminato il dottorato o che stanno per finirlo e possono scegliere tra due sezioni: una antichità e medioevo, l’altra epoca moderna e contemporanea. Sono arrivato a Viterbo nel 1980, su richiesta della Soprintendenza Archeologica dell’Etruria, diretta da Paola Pelagatti, che mi invitò ad effettuare uno scavo di emergenza sul sito dell’Asinello, un edificio unico nel mondo antico, che probabilmente era una dependance di una grande villa etrusca che dominava la via Cassia. Tanto rilevante da determinare una variante della superstrada. Poi l’incontro con Musarna, nel 1982”.
Un luogo di cui francamente non si sa molto…
“Vero. Lì, io e i miei collaboratori rinvenimmo un mosaico con iscrizioni etrusche, chiaramente danneggiato e depredato. Segnalato per puro caso alla Soprintendenza. Capimmo che si trattava di resti di bagni pubblici, ora custoditi nella Rocca Albornoz di Viterbo. Musarna, a una decina di chilometri da Viterbo sulla Tuscanese, è l’unico esempio di città etrusca intera della fine del quarto secolo. Cinque ettari che spiegano al meglio il sistema urbanistico degli insediamenti etruschi. Posso garantire che è spettacolare, anche se la città è stata rasa al suolo dai lavori agricoli, come accadeva purtroppo negli anni Cinquanta. Restano le fondamenta, e capisco che la gente è più attratta dai muri. Del resto se si vogliono lasciare all’aperto i reperti, bisogna proteggerli con enormi tettoie. Abbiamo recuperato tantissimi pezzi in ceramica che dovremo studiare e che sono conservati in parte nei depositi della Soprintendenza di Civitella d’Agliano e in parte nella Rocca Albornoz”.
Professore, proseguiamo in questo itinerario di vita e di ricerca.
“C’è Grotta Scalina, un sito dimenticato per oltre un secolo. Appena ad un chilometro da Musarna. Sorge lungo la via Francigena e fu frequentata fino ai tempi delle guerre napoleoniche. Poi il silenzio. E’ una tomba straordinaria che ha una gemella nella tomba Lattanzi di Norchia, ora minacciata da un enorme tufo che si è staccato dalla parete. Si tratta delle due più grandi tombe rupestri di età ellenistica, costruite sullo stesso modello ispirato ai palazzi reali macedoni”.
Per Norchia ci sono problemi di natura particolare. Diciamo di convivenza con il poligono militare.
“Alla fine non più di tanto perché c’è un accordo tra Soprintendenza e Stato Maggiore dell’Esercito. Certo i militari sono abbastanza gelosi del poligono, anche se è un po’ permeabile, diciamo così. Non ci sono reti di separazione che ne impediscano l’accesso e la segnalazione è scarsa. Per carità, nessun rischio di essere colpiti, ma di essere arrestati sì”.
Il futuro del professor Jolivet e della sua équipe?
“Intanto le visite a Norchia continueranno sino a ottobre. Questo è il terzo anno della concessione. Poi dovremo riflettere se chiederne una quarta o lavorare su ciò che abbiamo trovato. Certamente una cosa non possiamo fare e dovrebbe invece fare la Soprintendenza: rimuovere i blocchi di tufo caduti sulla sala banchetto della Lattanzi di Norchia”.
Senta, professore: come si è trovato in questi quaranta anni e più a Viterbo?
“Benissimo con la gente. Non sempre con le amministrazioni comunali. Viterbo, per esempio, è evidentemente più interessata a Ferento rispetto a Musarna”.
Musarna, sorella dimentica…
“Possiamo dire così anche se è meno spettacolare di Norchia, che sinceramente è un sito mozzafiato. La Soprintendenza? Fa quello che può, ma ha fondi limitati. Bisognerebbe individuare sponsor privati disposti a investire, per esempio, su Musarna anche se capisco che il luogo non può interessare molto, perché non rende e non renderà in futuro”.
Deluso?
“Questa è la realtà. Del resto è la stessa che vive Castel D’Asso. Non è un mistero che quest’ultimo e Norchia hanno pochissimi visitatori”.
Non le sembra un po’ bizzarro che debba essere una équipe francese a lavorare alla scoperta di reperti e dunque valorizzare una civiltà che ha radici e storia italiche?
“Questione di interessi scientifici, storici, intellettuali, che riguardano la collettività internazionale. Noi a Norchia non saremmo mai andati se non avessimo prima trovato Grotta Scalina, e Grotta Scalina non l’avremmo scoperta, se prima non avessimo individuato Musarna. Del resto dall’Ottocento a Roma esiste una comunità straniera che lavora un po’ in tutta Italia”.
Scusi professore per la domanda assolutamente personale, ma inevitabile: lei in tutti questi anni con quali mezzi ha potuto vivere e lavorare nella Tuscia?
“Stipendiato dal Centro Nazionale della Ricerca Scientifica francese. Invece di stare a Parigi sono stato qui a gestire gli scavi”.
Ancora oggi….
“Ancora oggi che sono in pensione e domani. Spero. Debbo dire che nei primi anni ci aiutava la Soprintendenza pagando degli operai che collaboravano con gli studenti nelle operazioni di scavo. Lo scorso anno un contributo lo abbiamo avuto anche dalla Fondazione Carivit. Domani? Chissà”.
Anche da pensionato continuerà a operare nella Tuscia?
“Assolutamente sì. Del resto abito a Roma. Probabilmente però saranno meno scavi e più studio. Abbiamo accumulato una tale quantità di materiale che se resta nei magazzini non risulterà molto utile. Né ai francesi né agli italiani”.